lunedì 21 dicembre 2009

• Crisi ecologica: storica opportunità


Ci è stata affidato il matenimento dell'equilibrio originale del Creato; di conseguenza il rispetto della natura è 'anche' soggetto agli effetti degli strumenti, di cui ci serviamo, per farlo. Tali strumenti devono affondare le radici della loro ragion d'essere nella morale che impone, anche nell'oggi, adeguati stili di vita delle persone e delle Comunità.

Papa: la crisi ecologica “storica opportunità” per ripensare i nostri stili di vita
Il messaggio di Benedetto XVI per la 43ma Giornata mondiale della pace, che il Papa ha dedicato al tema “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”.

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Le ragioni cristiane dell'ecologia
Una riflessione di Enzo Bianchi, priore di Bose

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sabato 19 dicembre 2009

• «Caro Gigi, perdonaci»


In momenti tanto 'deboli' quanto i presenti, un messaggio come quello di mons. Paolo Razzauti (il vicario per la città) ci aiuta a non guardare passivi - dalla finestra - quello che accade (di bello, quasi bello e brutto), ci ricorda il diritto/dovere alla partecipazione comunitaria, al superamento della superficiale osservazione e dell'indifferenza. Tanto più in questi giorni nei quali siamo chiamati a celebrare il dono della vita.

Purtroppo sono tra coloro che, passando per le strade della città, anch'io ho solo osservato Gigi. Non molto di più. Anch'io mi debbo scusare con lui e con i tanti che sono avvolti quotidianamente nella precarietà e nell'incertezza e che non ho saputo riconoscere.
Non credo che potrei farlo meglio se non con le parole di don Paolo. Affonda infatti le sue radici in una amicizia 'vera', di quelle che parole e forme letterarie non possono soffocare; in una dimensione comunitaria di cui si sente parte 'partecipante' e 'viva'. La riflessione è titolata dal TIRRENO DEL 18 dicembre u.s.: «Sei morto da solo. Caro Gigi perdonaci». «Cominciasti a frequentare la Parrocchia, ma già da allora facevi fatica ad integrarti con gli altri ed a vivere le diverse esperienze che ti venivano offerte. Facevi il chierichetto ma eri vivace (ricordi quando facesti scoppiare, durante una celebrazione, dei petardi sotto l'altare?), ti rimproveravo e tu, con quel faccione da buono cercavi di riconquistarmi mettendo in mostra la tua forza (ricordi quando dodicenne alzasti in aria un cassonetto della spazzatura?). Il petardo, il cassonetto .... non erano bravate, era il tuo modo di dimostrare la tua presenza, il tuo essere vicino, il tuo affetto! Poi continuasti a crescere ma le difficoltà familiari e la frequentazione di amicizie non proprio sane, ti portarono sulla strada, ti fecero divenire "barbone", ti fecero un "disadattato". Cominciò per Te un periodo di accattonaggio, durante il quale, per motivi non gravissimi hai soggiornato più volte in carcere. Venivi e chiedevi; cercavi di farmi intendere che saresti andato in qualche parte d‘Italia a lavorare, ma poi il giorno dopo eri di nuovo alla porta. Quante volte abbiamo discusso! una volta ho preso anche un "cazzotto" da Te, ma da Gigi accettavo tutto. In una mia visita al carcere ti incontrai recluso e iniziammo un dialogo nuovo; mi dicevi che volevi cambiare vita, ma poi non ce la facevi. Ricordo ancora quando mi chiedevi della tua Mamma ed io non sapevo che cosa rispondere perché era morta da qualche settimana,-finché con I'assistente sociale non decidemmo che fossi io a comunicarti la notizia.- in quel momento ti prese un forte tremito e ti buttasti al mio collo piangendo: in quell'abbraccio sentii non il "barbone" ma l’uomo pieno di sentimenti, di quei sentimenti che in tanti momenti avevi manifestato con la forza, ma che in quel momento manifestavi con un pianto pieno di umanità. In questi ultimi mesi non ti avevo più incontrato e quando ho saputo della tua morte, sono rimasto male.- sei morto da solo, forse per il freddo, forse per un malore, ma sei morto da solo. Scusami Gigi, scusaci: noi siamo preoccupati di discutere se è giusto appendere un crocifisso alle pareti delle scuole o degli ospedali, e non ci accorgiamo che ci sono tanti "crocefissi" come Te, che nessuno guarda o considera. Scusami Gigi se non ho fatto tutto quello che potevo fare, ma noi siamo preoccupati a discutere di questioni relative e non abbiamo tempo per riflettere e risolvere i grossi problemi di persone come te. Caro Gigi, tu non avevi fatto una scelta di vita, ma le circostanze ti avevano quasi costretto a fare una vita del genere; è vero che diverse volte ti erano state date occasioni di lavoro e tu non le avevi mantenute; ma forse più che un lavoro Tu avevi bisogno di qualcuno che camminasse con Te e ti aiutasse a maturare. Gigi, mi auguro che la tua morte non sia inutile, ma sia il seme che cade in terra e dà molto frutto. Mi auguro che la tua morte aiuti me e tutta la nostra Città a cessare di discutere di questioni relative e che possiamo riuscire ad affrontare i problemi che riguardano il rispetto di ogni persona, chiunque essa sia. Nessuno di noi può arrogarsi il diritto di emarginare o respingere qualcuno, ma tutti noi abbiamo il dovere di accogliere tutti e soprattutto i più poveri e bisognosi. Ed allora Buon Natale Gigi: certamente sarà il più bello della tua vita!»

sabato 5 dicembre 2009

• Riscoprire il dialogo


Ancora una volta emerge l’urgenza e la necessità di riporre il problema del dialogo al centro dell’attenzione e dell’impegno di chi cerca di sollecitare la primazia del bene comune sulle varie parzialità. Come riferisce l’agenzia ’Zenit. org’ in data 3 dicembre, il Cardinal Bertone «invita a riscoprire il metodo del dialogo». Quel metodo « nel corso della Storia d'Italia ha permesso a uomini di posizioni e pensiero anche antitetici di giungere a un accordo comune» [*] “Ciò che colpisce – ha detto il Cardinale Bertone – è come si sia trovato un consenso, che non è un compromesso al ribasso, ma che, in ultima analisi, esprime il riconoscimento della dimensione sociale e pubblica del fatto religioso e, quindi, della profonda identità del popolo italiano”. “E questo non necessariamente a partire da una condivisione di fede – ha aggiunto –, ma in forza di un corretto apprezzamento del ruolo del cattolicesimo nella plurisecolare vicenda storica della nostra penisola e dell'Europa”.»
Questo momento è «un'indicazione di metodo, tuttora valida” quando ci si trova ad affrontare questioni legate alla presenza pubblica della religione e della Chiesa oppure temi delicati di carattere etico.»; invita a «operare guidati dalla ragione umana, che accomuna tutte le persone di buona volontà, credenti e non credenti, secondo le regole della convivenza democratica”.»
Per quanto mi riguarda non credo che non si possa notare come la riscoperta sia legata strettamente coi metodi di selezione della classe dirigente e della rappresentanza. Un ostacolo oggettivo è dato dalla personalizzazione, di tipo para presidenzialista, e dall’aver ridotto le istituzioni come momento legato alle necessità ed ai giochi di potere dei gruppi dirigenti del momento.

[*] Nel presentare presso il Senato della Repubblica italiana il volume di Roberto Pertici “Chiesa e Stato in Italia dalla Grande Guerra al nuovo Concordato” (1914-1984), (Bologna, il Mulino, 2009), realizzato con documenti dell’Archivio Storico del Senato.

venerdì 6 novembre 2009

• «Ma io difendo quella Croce»

Non amo le esagerazioni e le esasperazioni di Marco Travaglio. Almeno quelle che manifesta spesso in TV. Ma sarei un ipocrita se dicessi che ciò che dice o scrive mi lasci indifferente, non mi provochi. Questo è uno di quei momenti che desidero partecipare. Ringrazio perciò Travaglio, ma anche Luigi Accattoli che attraverso il suo blog me lo ha fatto scoprire.
«Se dobbiamo difendere il crocifisso come “arredo”, tanto vale staccarlo subito. Gesù in croce non è nemmeno il simbolo di una “tradizione ” (come Santa Klaus o la zucca di Halloween) o della presunta “civiltà ebraico-cristiana” (furbesco gingillo dei Pera, dei Ferrara e altri ateoclericali che poi non dicono una parola sulle leggi razziali contro i bambini rom e sui profughi respinti in alto mare). Gesù Cristo è un fatto storico e una persona reale, morta ammazzata dopo indicibili torture, pur potendosi agevolmente salvare con qualche parola ambigua, accomodante, politichese, paracula. È, da duemila anni, uno “scandalo” sia per chi crede alla resurrezione, sia per chi si ferma al dato storico della crocifissione. L’immagine vivente di libertà e umanità, di sofferenza e speranza, di resistenza inerme all’ingiustizia, ma soprattutto di laicità (“date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”) e gratuità (“Padre , perdona loro perché non sanno quello che fanno”). Gratuità: la parola più scandalosa per questi tempi dominati dagli interessi, dove tutto è in vendita e troppi sono all’asta. Gesù Cristo è riconosciuto non solo dai cristiani, ma anche dagli ebrei e dai musulmani, come un grande profeta. Infatti fu proprio l’ideologia più pagana della storia, il nazismo – l’ha ricordato Antonio Socci - a scatenare la guerra ai crocifissi. È significativo che oggi nessun politico né la Chiesa riescano a trovare le parole giuste per raccontarlo. Eppure basta prendere a prestito il lessico familiare di Natalia Ginzburg, ebrea e atea, che negli anni Ottanta scrisse: “Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. È l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente… Perché mai dovrebbero sentirsene offesi gli scolari ebrei? Cristo non era forse un ebreo e un perseguitato morto nel martirio come milioni di ebrei nei lager? Nessuno prima di lui aveva mai detto che gli uomini sono tutti uguali e fratelli. A me sembra un bene che i bambini, i ragazzi lo sappiano fin dai banchi di scuola”. Basterebbe raccontarlo a tanti ignorantissimi genitori, insegnanti, ragazzi: e nessuno – ateo, cristiano, islamico, ebreo, buddista che sia - si sentirebbe minimamente offeso dal crocifisso.»
(estratto da: Marco Travaglio su 'Il fatto quotidiano' del 5 novembre 2009)

domenica 1 novembre 2009

• Da cristiani in politica. A Livorno.

Ogni norma pubblica parte dalla fotografia del presente (così come letta dai promotori dell’atto) e cerca di prevedere quanto può accadere e si vorrebbe accadesse in un periodo successivo sulla base dei criteri di lettura prescelti. Ogni norma ha l’obiettivo di fissare su un tema definito le regole di convivenza dei diversi che insistono in un certo territorio. Nessuno può rifiutarsi alla proposta ed al confronto su un tema (anche ‘eticamente sensibile’); rifiutando ogni fondamentalismo, comunque motivato. Per far questo occorre impegnarsi ad aumentare la qualità di formazione e conoscenza ed a far maturare una cultura (propria, della propria famiglia e della Comunità) in modo da essere in grado di confrontarsi con quella di chi è diverso. Chi nella Comunità è assunto come punto di riferimento di quella cultura, chi è stato chiamato ad un ruolo di guida deve aiutare questo cammino non solo esprimendo valutazioni contingenti (importanti ed essenziali) ma anche predisponendo o sostenendo percorsi preliminari di formazione che consentano il richiesto esercizio di un ruolo autonomo, compatibile con le regole di convivenza nella Comunità, che tutti vincolano. Autonomia non significa isolamento, assenza, silenzio o assorbimento da parte degli uni sugli altri; ma ricerca permanente di ciò che unisce nel rifiuto di ogni sincretismo. Laicità come metodo per cercare soluzioni sagge, capaci di trasmettere fiducia e speranza alle persone, e mai punitive verso le loro convinzioni o la loro condizione. Non a caso la diocesi di Livorno si è impegnata in questa direzione fin dagli anni ’50 col lavoro degli assistenti della FUCI diocesana, prima, (Chi non ricorda il lavoro di don Renzo Bellomi, di don Giulio Tavallini, di don Mario Gilardi?) e con quello della formazione all’impegno socio-politico da parte di don Roberto Corretti, di Padre Pino Piva con proseguimento fino all'anno 2006 da parte dell’ufficio per la pastorale sociale. Certamente poi alla facoltà, volontà ed impegno di ciascuno il compito di renderlo vivo, vissuto. Nessuno, quale che sia il ruolo che ha scelto di esercitare nella Comunità, può prescindere dai principi cosiddetti ‘fondamentali’, negoziarli con chicchessia. Nel documento diocesano ‘da cristiani in politica’, proposto a Livorno nel 2006, a proposito delle relazioni tra cristiani e politica, tra l’altro, si affermava: «• L’uomo e la donna possono realizzare sé stessi, quando vivono, progettano ed agiscono nella Comunità, in relazione con altri uomini e donne. Si pongono in ascolto, riflettono, dialogano, progettano, costruiscono al servizio di se stessi e di tutti. • La società politica esiste da sempre, perché le istituzioni sono di tutti quelli che ne fanno parte, qualsiasi fede professino. La politica è laica. Laici sono i valori a cui essa si ispira. Laiche le finalità cui tende. • L’invito a “far politica” è stato sempre letto come invito a farsi cibo per la vita degli altri, per la crescita nell’amore di ciascuno e di tutti. Perciò le relazioni fra politica e cristiani, tra Stato e Chiesa sono concepite e realizzate commisurandole ai diversi contesti storici, sociali ed ecclesiali. • Per i cristiani l’essere laici è da intendersi non come separazione tra diversi, ma come «fecondazione reciproca» (Giovanni Paolo II, 2005); comporta che, senza rinunciare alla propria identità, credenti e non credenti cerchino insieme piste concrete per realizzare il maggior bene comune possibile in una data situazione, consapevoli delle necessarie condivisioni accertate. • «Il fedele laico è chiamato ad individuare nelle concrete situazioni politiche, i passi realisticamente possibili per dare attuazione ai principi e ai valori morali propri della vita sociale. [...] La fede non ha mai preteso di imbrigliare in un rigido schema i contenuti socio-politici, consapevole che la dimensione storica, in cui l’uomo vive, impone di verificare la presenza di situazioni non perfette e spesso rapidamente mutevoli» (Compendio Dottrina Sociale della Chiesa, n. 568)»

domenica 25 ottobre 2009

• Riscoprire la bellezza della condivisione e della capacità di prenderci cura gli uni degli altri.

Leggo sulla agenzia S.I.R. (Servizio Informazione Religiosa) di Venerdi 23 Ottobre 2009 l'annuncio del messaggio che la CEI ha predisposto per la giornata per la vita 2010. Forma e contenuti nei quali mi riconosco completamente e che ritengo debbano avere un posto prioritario nel nostro agire da cristiani a contatto quotidiano con chi non lo è o lo è tiepidamente. La Nota recita: «Ogni vita, scrive il Consiglio permanente Cei nel messaggio reso noto oggi per la 32a Giornata per la Vita (7 febbraio 2010), “è degna di essere vissuta anche in situazioni di grande povertà. L’uso distorto dei beni e un dissennato consumismo possono, anzi, sfociare in una vita povera di senso e di ideali elevati, ignorando i bisogni di milioni di uomini e di donne e danneggiando irreparabilmente la terra, di cui siamo custodi e non padroni. Del resto, tutti conosciamo persone povere di mezzi, ma ricche di umanità e in grado di gustare la vita, perché capaci di disponibilità e di dono”. Nel messaggio (www.agensir.it - documenti) si aggiunge che “anche la crisi economica che stiamo attraversando può costituire un’occasione di crescita. Essa, infatti, ci spinge a riscoprire la bellezza della condivisione e della capacità di prenderci cura gli uni degli altri. Ci fa capire che non è la ricchezza economica a costituire la dignità della vita, perché la vita stessa è la prima radicale ricchezza, e perciò va strenuamente difesa in ogni suo stadio, denunciando ancora una volta, senza cedimenti sul piano del giudizio etico, il delitto dell’aborto”. “Sarebbe assai povera ed egoista – afferma nel messaggio il Consiglio permanente della Cei - una società che, sedotta dal benessere, dimenticasse che la vita è il bene più grande. Del resto, come insegna il Papa Benedetto XVI nella recente Enciclica Caritas in veritate, “rispondere alle esigenze morali più profonde della persona ha anche importanti e benefiche ricadute sul piano economico” (n. 45), in quanto “l’apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economica” (n. 44)”. I vescovi del Consiglio permanente così concludono: “Proprio il momento che attraversiamo ci spinge a essere ancora più solidali con quelle madri che, spaventate dallo spettro della recessione economica, possono essere tentate di rinunciare o interrompere la gravidanza, e ci impegna a manifestare concretamente loro aiuto e vicinanza. Ci fa ricordare che, nella ricchezza o nella povertà, nessuno è padrone della propria vita e tutti siamo chiamati a custodirla e rispettarla come un tesoro prezioso dal momento del concepimento fino al suo spegnersi naturale”.»

martedì 13 ottobre 2009

• Famiglia e Comunità locale

Già nel 2004, a Livorno, affrontammo - anche a livello diocesano come momento di sintesi di un itinerario non organizzato strutturalmente ma prorompente ad ogni livello nella Comunità - il problema della famiglia e delle sue urgenze. Una esperienza che invitava ad intervenire in forma strutturata anche a tutela e sostegno della famiglia. Nelle NOTE, inviate a tutti i candidati alle elezioni amministrative di Livorno ci si preoccupava “di offrire un contributo in direzione del rafforzamento del senso di comunità“ in modo da “consentire un dialogo sempre più ricco” e “promuovere la condivisione di un percorso comune all’insieme della comunità locale, delle cui ricchezze umane e culturali” ci si proponeva come “parte non marginale”.
Richiamammo due momenti: sussidiarietà e solidarietà. “Non interventi assistenziali, ma interventi che garantissero: riconoscere - sostenere - promuovere/favorire - aiutare concretamente la famiglia senza sostituirsi ad essa in nome dell'aiuto dato.” “Necessità ed urgenza che la collettività si facesse carico dei propri membri più deboli, senza tuttavia rinunciare al loro protagonismo, pena l'attivazione di politiche solo assistenziali, che vedono le persone o le famiglie in difficoltà solo come destinatari passivi.” Richiamavamo la necessità di “associarsi per diventare soggetto collettivo, capace di realizzare servizi, svolgere attività di sensibilizzazione, formazione, auto e mutuo aiuto”, che necessariamente prevede “spazi di consultazione, di ascolto e di sostegno”.
Tra l’altro affermavamo: “La famiglia deve essere considerata destinataria delle attenzioni e delle scelte propriamente di "politica familiare locale".” Avendo chiaro che tale politica non doveva escludere “altri interventi su situazioni specifiche di difficoltà sociale (figli delle coppie di fatto, diritti degli individui nelle unioni libere, ecc....), ma che dovevano essere ridefiniti e presi in carico all'interno del quadro della "tutela dei diritti delle persone".
Negli esempi indicavamo la priorità dell’adozione di un indice d'equità familiare, che permetta di ripartire i carichi impositivi e tariffari fra le famiglie, non solo in senso verticale (per classi di reddito), ma anche in senso orizzontale (tra nuclei familiari più "pesanti" e altri meno gravosi dal punto di vista della struttura dei bisogni). Uno strumento, quindi, che non servisse soltanto per fare "sconti" alle famiglie più povere, ma per stabilire delle quote contributive eque per e fra tutte le famiglie.
Ad oggi - ed è trascorsa una intera legislatura - tutto tace. Tuttavia apprendiamo che in Emilia, a Parma, ci stanno provando seriamente a partire dal 2010. Inutile dire il nostro augurio di un buon camino nel rifiuto di ogni gratuito nominalismo.

AVVENIRE - 13 ottobre 2009

La svolta di Parma: dall'anno prossimo ci sarà il «quoziente familiare» comunale

giovedì 1 ottobre 2009

• Cattolici: occorre una nuova stagione di autonomia e la conferma del rifiuto dell'isolamento.


In relazione al doloroso caso Boffo, Gianfranco Brunelli, nel suo editoriale per IL REGNO nota con lucidità che lo scontro tra la Cei e Berlusconi ha segnato la fine di una linea politica che aveva pesantemente portato a forme di subalternità della Cei e,di fatto, il disconoscimento dei cattolici democratici da parte delle gerarchie ecclesiastiche. Una stagione nuova, anzi antica, s’avvia nel rapporto tra Chiesa e politica in Italia.

L’attacco del direttore de IL GIORNALE, Feltri, al direttore di Avvenire «è stato portato nell’ambito della controffensiva berlusconiana avviata da Il Giornale sul tema dei “falsi moralisti-moralizzatori”, per rispondere al cosiddetto sexgate che ha coinvolto il premier. Appena nominato direttore, Feltri ha attaccato dapprima Gianni Agnelli e la Fiat, poi De Benedetti-Repubblica, quindi Boffo-Avvenire, e da ultimo Fini. Il colpo a Boffo, come ha evidenziato l’ex segretario della CEI, mons. Giuseppe Betori, ha avuto il significato di un avvertimento ai vescovi italiani, affinché restassero fuori dagli attacchi a Berlusconi.» La testa dell’agnello mozzata sulla porta d’ingresso del luogo del potere inviso. «Come si è compreso in corso d’opera, l’avvertimento berlusconiano del Giornale, metteva in discussione anche le precedenti garanzie legislative su scuola privata e biotestamento offerte dal governo alla CEI. La campagna politico-giornalistica contro i «falsi moralizzatori», oltre a essere un avviso politico-finanziario agli interessati, mirava e mira a stabilire presso l’opinione pubblica un principio di fatto: la generalità del comportamento immorale. Nessuno ha le carte in regola per fare la morale a Berlusconi. Siccome nessuno è senza peccato, nessuno è autorizzato a stigmatizzare moralmente Berlusconi, o a cercare d’indebolirlo politicamente a partire dalle sue abitudini private. Non sul piano della morale pubblica, se il mitico Agnelli o il candido direttore di Repubblica sono, secondo Il Giornale, pesanti evasori fiscalI; non sul piano della morale personale, se il direttore del giornale dei vescovi è stato condannato

dal tribunale di Terni per un caso di molestie telefoniche.»

È urgente una nuova stagione di autonomia per il laicato cattolico, Sul quotidiano EUROPA Massimo Faggioli si chiede: « cosa hanno in mente i cattolici italiani per l’apertura di una nuova stagione?» «La gerarchia cattolica italiana «ha sperimentato in modo traumatico, col “caso Avvenire”, il passaggio dal matrimonio di convenienza, alla cattività berlusconiana, alla necessità di una nuova libertà.

Infatti, il messaggio trasversale lanciato da Berlusconi alla chiesa italiana è la prova che, nella cultura politica delle “nuove destre” populiste e individualiste, la chiesa cattolica rischia di far la fine di una lobby, la cui influenza è legata alla convergenza di interessi e non alla capacità di parlare alle coscienze.» Non sono i concordati a garantire la libertà della chiesa e la vitalità della fede. È chiaro che nell’Europa multireligiosa e multiculturale del secolo XXI, comporta enormi sfide culturali e politiche. «Il teologo americano H. Richard Niebuhr ricordava, nell’ormai classico Christ and Culture (1951): “Nel nostro tempo presente prendiamo decisioni sulla base della libertà e della fede. Prendiamo decisioni sulla base della libertà perché dobbiamo decidere. Non siamo liberi di non decidere”.» Ancora una volta si prende atto - da parte della gerarchia e della cultura cattolica - della tendenza alla permanente insoddisfazione verso chi gestisce concretamente il potere civile . Aggiunge Faggioli: «Il momento attuale richiede una ripresa di responsabilità da parte del laicato cattolico: responsabilità che gli è teologicamente propria, politicamente dovuta, e non concessa per buona condotta.» «Una delle maggiori tentazioni per i cattolici italiani sarebbe quella di rifugiarsi in una sorta di agnosticismo: sia nei confronti della politica, sia sul versante dei rapporti tra chiesa e politica. Un agnosticismo che è solo un’altra versione – non meno pericolosa – del populismo dell’anti-politica.»

venerdì 25 settembre 2009

• Tempi cattivi e noi cristiani


EUROPA del 25 settembre u.s. pubblica un interessante riflessione di Pierluigi Castagnetti, che condivido e che, comunque, richiede un momento di sosta e di valutazione. È stata titolata: «Tempi cattivi e noi cristiani»
Pur consigliandone la lettura completa, ne trascrivo solo un brano: «Le crisi avvengono per evitarci il peggio», scrive Christiane Singer (Du bon usage des crises, 1996). E prosegue: «In mancanza di maestri, nelle società in cui viviamo, sono le crisi i grandi maestri (...) che possono aiutarci a entrare nell’altra dimensione, nella profondità che dà senso alla vita». Che questo sia tempo di crisi (del mondo, dell’Italia, della politica, di noi cioè del Pd) è fuori discussione.
Crisi profonda. Morale, culturale, civile e – inevitabilmente – politica. Non solo c’è la crisi, ma c’è l’assuefazione alla crisi che è ancor più grave, perché riduce la percezione della natura della crisi stessa.
È in atto infatti – per rimanere solo al piano della politica – non solo una grave perdita di valori, ma la perdita delle regole (che, in parte, è la stessa cosa), lo svuotamento del senso, cioè dell’in sè e insieme del ruolo delle istituzioni, oltreché della responsabilità di chi è chiamato a guidarle. La maggioranza e l’opposizione rischiano di smarrire la memoria delle proprie – distinte ma concorrenti – responsabilità. Il capo del governo e alcuni ministri rifiutano la civiltà del linguaggio e dei comportamenti e ritengono lecita l’aggressione e l’intimidazione di chi li critica, siano politici, intellettuali o giornalisti. Gran parte dei mezzi di informazione subisce il ricatto della prepotenza e converte la propria missione in quella di narratrice delle gesta del principe.
Non è un caso che in tale situazione sia la voce, pur ancora flebile ma mai ripiegata, della Chiesa a esprimere un’alterità composta e ferma, contro la quale non sorprende che si sia scatenata un’aggressione così violenta da aver provocato le dimissioni dell’unico laico accreditato a rappresentare il pensiero della gerarchia italiana, il direttore di Avvenire Dino Boffo.
E duole constatare che, in tale situazione, anche in casa Pd non si trovi di meglio da parte di taluni che issare la polemica oggettivamente consumata della laicità, lo sguardo cioè sul famoso dito del bambino anziché sulla luna.
A me pare invece che, proprio in questo momento di crisi, crisi anche per mancanza di sussulti di reazione, ci si debba sforzare di trovare l’intelligenza e il coraggio per andare in profondità, cioè per profittare della crisi per interrogarsi e capire da dove ripartire.
Per chi è credente c’è una strada segnata: lasciarsi interpellare, giudicare, mettere in crisi dalla parola di Dio.
San Paolo parla di giorni cattivi per indicare i tempi di crisi. L’aggettivo cattivo non è solo nelle cose, nei fatti, nei comportamenti personali del tempo presente, è stato persino evocato come parola sulla bocca di un ministro che ne ha fatto una cifra, un manifesto programmatico: «Ci vuole cattiveria, vogliamo essere cattivi». E, invece, ci viene indicato: «Fate molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da sapienti, facendo tesoro del tempo perché i giorni sono cattivi» (Lettera agli Efesini 5,16).
«È ora che si sappia declinare nell’oggi la fede come resistenza, capacità di dire “no” per salvaguardare il “sì” grande e non negoziabile al Vangelo e ai diritti dei deboli », ha detto recentemente il monaco Luciano Manicardi (Triuggio, 12 settembre 2009). La fede come resistenza alla decadenza, all’assuefazione, al conformismo, al silenzio: ecco la responsabilità dei cristiani nei tempi cattivi.»

lunedì 21 settembre 2009

• Superare limiti ed insufficienze


Franco Garelli scrive su LA STAMPA del 21 settembre: «A detta di monsignor Miglio, responsabile per i problemi sociali della Cei, «il mondo cattolico deve dare all’Italia qualcosa di molto diverso da quello che viene offerto ogni giorno». Ma forse il malcontento più profondo per la situazione nazionale è individuabile nell’ultima dichiarazione del numero due della Cei, monsignor Crociata, per il quale dalla crisi emergeranno nuovi assetti politici e nuove prospettive; come a dire che lo sfilacciamento non può durare a lungo e che bisogna prepararsi a nuovi scenari. La Chiesa, dunque, reagisce alle polemiche che hanno portato alle dimissioni del direttore di Avvenire (e ad altri punti caldi, come il conflitto con la Lega sui flussi migratori e le critiche sullo stile di vita di Berlusconi) alzando lo sguardo ai problemi del Paese e riflettendo anche sulle proprie responsabilità.»

Sta accadendo ciò che molti avvertivano. Lo scenario nel quale muovere i propri passi nel nostro paese e nel mondo è profondamente mutato. Il contributo che sono chiamati a dare essenziale. La cultura cattolica e gli uomini (che nel piccolo e nel grande, nell’immediato ed in prospettiva, temporalmente incarnano) devono rivedere la strategia e le tattiche che sovrintendevano alla lettura ‘Ruini’. Ogni giorno tutti noi avvertiamo insofferenza per ciò che riproduce acriticamente schemi ed ingabbiamenti di cui chiari sono limiti ed insufficienze. Non può bastare invocare compattezza, omogeneità ed obbedienza per progetti di breve-medio termine (che pur occorrono per non procedere a casaccio), o solo sbirciare la sostanza comunitaria.

Ciascuno di noi è chiamato ad un rinnovato impegno ed a scuotersi di dosso la polvere, che può essersi depositata, ed a allontanare annebbiamenti impropri. Occorre una nuova puntura di coraggio e di tensione. I biblici ‘custodire’ e ‘coltivare’ sono impegni permanenti. La preghiera ed il rifiuto del 'carpe diem' la nostra forza.

domenica 20 settembre 2009

• Marcia del lavoro


Alcuni amici sollecitano il mio parere su alcune loro idee per iniziative che rendano ancor più palese l’interessamento dei cristiani per la gravità di due fenomeni: disoccupazione e quantità finanziarie disponibili in concreto da parte delle famiglie; morti e infortuni sul lavoro.

Ricordavano, gli amici, che era stata lanciata, a suo tempo, la proposta di una ‘marcia del lavoro’ silenziosa sulla salita di Montenero, guidata dal vescovo o da suoi delegati, che portasse i lavoratori e le lavoratrici ed i loro rappresentanti sindacali da piazza delle Carrozze alla piazza del santuario al termine della quale dare la parola, per 10 minuti cadauno, ad una lavoratrice e ad un lavoratore, con chiusura da parte di un rappresentante diocesano.

A parte il fatto che l’idea dovrebbe essere ricalibrata stante l’evolversi della situazione locale, credo che tali amici dovrebbero comunque proporla direttamente a chi segue la pastorale sociale per conto della diocesi ed a lui chiedere consiglio e con lui confrontarsi.

Tuttavia l’idea mi sembra ancora degna di nota. In ogni caso la vicinanza a lavoratori e lavoratrici per i due problemi è importante in diocesi, come dimostrano alcune sortite recenti del vescovo Simone.

venerdì 18 settembre 2009

• Obbedire = ob-audire: ascoltare stando di fronte.


Una riflessione di don Tonino Bello, tratta dal suo scritto «MARIA, DONNA DEI NOSTRI GIORNI», ediz. Paoline 1996. [Un frammento, invitando alla lettura completa. Il testo si trova anche in rete]


«Si sente spesso parlare di obbedienza cieca. Mai di obbedienza sorda. Sapete perché?Per spiegarvelo devo ricorrere all' etimologia la quale, qualche volta, può dare una mano d'aiuto anche all'ascetica.Obbedire deriva dal latino ob-audire, Che significa: ascoltare stando di fronte.Quando ho scoperto questa origine del vocabolo, anch' io mi sono progressivamente liberato dal falso concetto di obbedienza intesa come passivo azzeramento della mia volontà, e ho capito che essa non ha alcuna rassomiglianza, neppure alla lontana, col supino atteggiamento dei rinunciatari. Chi obbedisce non annulla la sua libertà, ma la esalta. Non mortifica i suoi talenti, ma li traffica nella logica della domanda e dell' offerta.Non si avvilisce all'umiliante ruolo dell'automa, ma mette in moto i meccanismi più profondi dell'ascolto e del dialogo.C'è una splendida frase che fino a qualche tempo fa si pensava fosse un ritrovato degli anni della contestazione: "obbedire in piedi". Sembra una frase sospetta, da prendere, comunque, con le molle. Invece è la scoperta dell'autentica natura dell' obbedienza, la cui dinamica suppone uno che parli e l'altro che risponda. Uno che faccia la proposta con rispetto, e l'altro che vi aderisca con amore. Uno che additi un progetto senza ombra di violenza, e l'altro che con gioia ne interiorizzi l'indicazione.In effetti, si può obbedire solo stando in piedi. In ginocchio si soggiace, non si obbedisce. Si soccombe, non si ama. Ci si rassegna, non si collabora.»

venerdì 11 settembre 2009

• Incompatibilità dei ruoli pubblici ed ecclesiali


Si pone da sempre il problema della distinzione dei ruoli tra chi è chiamato ad esercitare un ruolo rappresentativo nelle istituzioni, in un partito o in una associazione non ecclesiale e quello esercitato in un qualsiasi livello per conto della Comunità ecclesiale, dalla parrocchia, alla associazione ecclesiale,alla diocesi, ecc. Entrambi i ruoli esigono reciproca autonomia e trasparenza e quindi sottendono una netta e reciproca incompatibilità di esercizio (formale e sostanziale). Non a caso la chiesa locale livornese in anni recenti lo ha confermato in alcuni documenti pubblici.

Nelle NOTE ai candidati per le elezioni locali del 2004, tra l’altro, confermava: «il rifiuto netto di assegnare ai cattolici il ruolo di assistenti sociali della politica e di esperti in povertà; quello di chi si chiude in una nicchia e rinuncia alla fatica di pensare il mondo e di immergersi nei processi contemporanei». ed aggiungeva a tale proposito di condividere «senza riserve, la scelta consolidata di non coinvolgere strutture e persone aventi responsabilità operative ad ogni livello nella Chiesa locale, in impegni di sostegno elettorale - diretto o indiretto - per chicchessia; non essendo totalizzante il ruolo che la Chiesa intende svolgere nell’insieme della Comunità. Non si dimentica infatti che, per ciascun soggetto e persona, essere autonomi non significa rendersi estranei a qualcosa o a qualcuno ma rendersi idonei ad agire, pensare, progettare senza ricercare od accettare vincoli esterni di subordinazione o delegare ad altri soggetti scelte che riguardano la sua possibilità e capacità di partecipare.»

Non solo ma precisava nel documento “da cristiani in politica” che, tra i “requisiti per il cristiano eletto in una carica di rappresentanza”, doveva essere considerata l’autonomia reciproca dei ruoli civile ed ecclesiale col «rispetto e promozione di tutte quelle regole che richiedano incompatibilità fra possibili incarichi diversi».

mercoledì 12 agosto 2009

• Religione: insegnamento di serie A o serie B ? Arcaismi e laicità.


Sul quotidiano LA REPUBBLICA, dell’11 agosto leggo che: «I docenti di religione cattolica non possono partecipare "a pieno titolo" agli scrutini ed il loro insegnamento non può avere effetti sulla determinazione del credito scolastico: a stabilirlo è il Tar del lazio, che con la sentenza n. 7076 ha accolto i ricorsi presentati, a partire dal 2007, da alcuni studenti, supportati da diverse associazioni laiche e confessioni religiose non cattoliche, che chiedevano l'annullamento delle ordinanze ministeriali firmate dall'ex ministro Giuseppe Fioroni e adottate durante gli esami di Stato del 2007 e 2008.»

Osservo che si tratta di una sentenza (che sia valida giuridicamente, o meno) che non può che lasciare perplessi. La laicità è una cosa seria, non una forzatura giuridica. Di fatto la sentenza afferma che: la religione è un optional formativo e che in nome della non discriminazione dei pochi si discriminano i molti. Cascami di una cultura fondamentalista dell’individualismo che sta minando le basi etiche della convivenza civile. E se ne vedono ogni giorno i risultati. Il dialogo ‘positivo’ tra diversi può far trovare il percorso giusto. Risollevare, oggi come ieri, antichi steccati ottocenteschi, degli uni e degli altri, non serve a nessuno.

Sono confortato in questa opinione dalla presa di posizione di mons. Coletti, oggi vescovo di Como e Sondrio nonché presidente della Commissione episcopale per l’educazione cattolica. Leggo, infatti: « Si tratta di una decisione che danneggia la laicità ed è sintomo del "più bieco illuminismo che vuole la cancellazione di tutte le identità".» Monsignor Coletti «ha definito la sentenza particolarmente pretestuosa e ha riaffermato che l'insegnamento della religione cattolica è parte integrante della conoscenza della cultura italiana, e in questo senso va inteso nel sistema scolastico italiano, non come percorso confessionale individuale. "Non si tratta di un insegnamento che va a sostenere scelte religiose individuali: ma di una componente importante di conoscenza della cultura di questo Paese, con buona pace degli irriducibili laicisti e purtroppo dobbiamo dire con buona pace anche dei nostri fratelli nella fede di altre confessioni cristiane".»

sabato 8 agosto 2009

• I silenzi sul martirio dei cristiani dei nostri giorni


Quanto segue è stato scritto da Lorenzo Mondo su LA STAMPA di questi giorni. Nella sua semplicità e scarna aderenza ai fatti fa rivivere la drammaticità degli eventi. Come cristiano e come cittadino lo ringrazio per quanto riportato in primo piano in un momento in cui troppi danno sfogo al loro fondamentalismo laicista oppure sorridono su 'escort' (sottile eufemismo!), vizi privati neanche accompagnati da pubbliche virtù, sopraffazioni varie e per la iconoclastia dei primi cinquant'anni della nostra Repubblica (dalla quale tanto abbiamo da imparare in termini di laicità).

Il pezzo "Cristiani da massacro":

«E’ uno stillicidio di notizie sui cristiani perseguitati e massacrati in varie nazioni, dietro la spinta di un fondamentalismo religioso che cerca alibi in motivazioni politiche e larvata tolleranza nei governanti. In India un tribunale ha appena assolto il gruppo di fanatici che ha provocato la morte di 120 persone appartenenti alla comunità cristiana dell’Orissa. E’ accaduto in quella che viene considerata la più grande democrazia del mondo, dove aleggia, in reverente ricordo, la figura di madre Teresa di Calcutta. Ma è soprattutto nei paesi musulmani che si consuma la strage. In Pakistan una torma di estremisti islamici ha provocato la morte di una decina di persone, arse vive nell’incendio delle loro abitazioni. Recentemente a Baghdad e Mosul, terra irakena, nove chiese sono state distrutte, con quattro morti e decine di feriti, fomentando l’esodo della popolazione che nei pochi anni della «pax americana» ha perduto un terzo dei suoi componenti. Una situazione particolarmente dolorosa, perché in Medio Oriente vivono gli eredi della più antica cristianità, che si potrebbe dire «contemporanea» di Cristo.

Sono gli esempi più immediati e vistosi di una persecuzione che si allarga dall’Indonesia alla Nigeria e che non risparmia, in restrizioni e molestie, neanche i paesi islamici che passano per moderati. Basti ricordare che in Arabia Saudita il solo possesso di un crocifisso è passibile di morte. Si comprende come il Vaticano agisca con prudenza per non esasperare la situazione e mettere a più duro repentaglio i fedeli. Non si giustifica invece il silenzio assordante delle autorità religiose dell’Islam, così sollecite a pronunciare condanne di morte, a mobilitare le masse per qualche libro o vignetta irrispettosi di Maometto e del Corano. Ma soprattutto indignano, suscitano vergogna, la disattenzione e il tiepido risentimento dell’Europa che, pur obliosa delle sue radici cristiane, non dovrebbe tollerare l’aggressione e la cancellazione di «quelle» minoranze. Quanto a noi, appare sconfortante che il martirologio cristiano non susciti una passione maggiore dei discorsi, pur legittimi, sull’opportunità di aprire moschee nelle nostre città. Detto sommessamente, c’è anche altro su cui interloquire.»

giovedì 30 luglio 2009

• Perbenismo e senso civico


Su FOGLIO di oggi si legge:«C’è una certa coerenza, in realtà, tra l’esaltazione del moralismo rivolto a comportamenti individuali e la critica serrata a interventi che portino una concezione morale della vita e della morte nel discorso pubblico. E’ un modo di ricacciare il sentimento religioso nella pura dimensione privata, nella deprecazione della decadenza dei costumi, che si esprime come sentimento individuale. Il clericalismo, inteso come instrumentum regni, in fondo è proprio questo, ed è alleato stretto di quell’anticlericalismo che si presenta come il suo opposto. Ambedue relegano sullo sfondo la battaglia culturale per l’affermazione nel confronto pubblico di principi che hanno radici nella visione cristiana, in modo da non disturbare il manovratore.» Quello descritto è certamente uno degli aspetti del quadro 'culturale' attuale. Denuncia che l'individualismo assunto a sé stante (tanto aborrito e denunciato, soprattutto dalla Dottrina Sociale della Chiesa) è penetrato nella struttura 'culturale' anche del popolo di Dio, cioè della Chiesa, e sta rischiando di deformarne i comportamenti d'insieme (Come leggere certe prese di posizione ‘buoniste’ nella vicenda delle escort?). In certi ambienti laicisti, non ci si vuol rendere ancora conto che individuo e persona sono due espressioni che indicano qualità e spessore del tutto diversi. » Su alcuni giornali, esplicitamente controllati dall'attuale gruppo di potere berlusconiano, si parla di 'vita spericolata' del presidente del consiglio letto come un individuo occasionalmente gaudente (È un maschio', che diamine!) che intende la 'confessione' (quando proprio non se ne può fare a meno!) come un momento accidentale che lava la coscienza confondendo il pentimento con la cancellazione formale del peggio che si è combinato o tollerato. Si considera una cosa 'normale' una mentalità che accetta la 'cultura' dei cosiddetti film leggeri dei Pierino o dei De Sica figlio. Se fosse così vero, è proprio un caso che - proprio in tale scenario - in questi giorni si cerca di completare il controllo della 'cultura' RAI di massa - cioè Rai fiction - al controllo del potere che induce e condiziona la lettura del fenomeno politico? Sembra a qualche compilatore di articoli ‘non moralistici’ e frequentatore di piacevoli conversari del bar elegante vicino a casa o in Centro città, che chi fa certe osservazioni e chiede alcune spiegazioni non banalizzanti sia un “bacchettore” così come lo è chi non accetta certi compromessi morali e culturali qualificandolo, sulla base del suo metro, come un incapace e un imbecille. Gli farà piacere saperlo (supposto che abbia voglia di andare al di là dei sondaggi occasionali) anch’io sono uno di quelli e non me ne pento!

mercoledì 29 luglio 2009

: «Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato»



Il messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale della pace, che si celebrerà il 1 gennaio 2010, sarà dedicato al tema: "Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato". Il tema scelto dal Papa intende sollecitare una presa di coscienza dello stretto legame che esiste nel nostro mondo globalizzato e interconnesso tra salvaguardia del creato e coltivazione del bene della pace. Tale stretto e intimo legame è, infatti, sempre più messo in discussione dai numerosi problemi che riguardano l'ambiente naturale dell'uomo, come l'utilizzo delle risorse, i cambiamenti climatici, l'applicazione e l'uso delle biotecnologie, la crescita demografica. Se la famiglia umana non saprà far fronte a queste nuove sfide con un rinnovato senso della giustizia ed equità sociali e della solidarietà internazionale, si corre il rischio di seminare violenza tra i popoli e tra le generazioni presenti e quelle future. Seguendo le preziose indicazioni della lettera enciclica Caritas in veritate, (48-52) il
messaggio papale sottolineerà l'urgenza che "la tutela dell'ambiente deve costituire una sfida per l'umanità intera: si tratta del dovere, comune e universale, di rispettare un bene collettivo", destinato a tutti, impedendo che si possa fare impunemente uso delle diverse categorie di esseri come si vuole. È una responsabilità che deve maturare in base alla globalità della presente crisi ecologica e alla conseguente necessità di affrontarla globalmente, in quanto tutti gli esseri dipendono gli uni dagli altri nell'ordine universale stabilito dal Creatore. Se si intende coltivare il bene della pace, si deve favorire, infatti, una rinnovata consapevolezza dell'interdipendenza che lega tra loro tutti gli abitanti della terra. Tale consapevolezza concorrerà a eliminare diverse cause di disastri ecologici e garantirà una tempestiva capacità di risposta quando tali disastri colpiscono popoli e territori. La questione ecologica non deve essere affrontata solo per le agghiaccianti prospettive che il degrado ambientale profila: essa deve tradursi, soprattutto, in una forte motivazione per coltivare la pace.

(©L'Osservatore Romano - 30 luglio 2009)

domenica 12 luglio 2009

• "La domenica è un bene per l'uomo"

Benedetto XVI domenica 12 luglio ha chiesto a credenti e non credenti di rispettarne il valore.
Ha esortato a non perdere il senso della domenica, sia per i credenti che per i non credenti, perché questa rappresenta "un bene per l'uomo".
Il Pontefice ha toccato l'argomento dal momento che in Europa si moltiplicano le proposte di estendere il lavoro domenicale, a partire dai negozi e dai grandi magazzini.
"La domenica è un bene per l'uomo - ha affermato il Santo Padre -. In effetti, questo giorno santo è per i cristiani un giorno di preghiera che permette loro di recuperare le energie spirituali e sostenere la propria vita con l'ascolto e la meditazione della Parola di Dio, nutrendosi del Corpo di Cristo". "La domenica è allo stesso tempo un giorno di riposo e di relax meritati, per stare in famiglia o tra amici". "Esorto ciascuno a vivere questo momento di grazia che è il riposo domenicale!", ha concluso.
Quindi la domenica (Dies dominicus) è un momento centrale per l'Uomo in generale, per il cristiano in particolare. Un importante momento di incontro tra non credenti e credenti.
Non solo. Nell'intervento richiestogli in occasione della livornese coppa remiera Barontini il vescovo emerito di Livorno
, mons. Alberto Ablondi, rivolgendosi agli uomini e alle donne del lavoro ha allargato l'orizzonte sottolineando: «Lasciate che la vostra libertà diventi anche un compito e un dovere della Chiesa che si sente impegnata ad aiutarvi a crescere nella libertà. Questo voglio dimostrarvelo con un esempio storico. Avete mai pensato perché la Chiesa nel passato ha istituito tante feste di precetto che comportavano la proibizione del lavoro? In quell'epoca, il salario del lavoratore veniva misurato su quanto era necessario per mantenersi in vita, le feste di precetto, con la proibizione del lavoro, costringevano così il padrone a mantenere l'operaio anche quando non lavorava. Ho citato questo esempio perché la Chiesa, oggi come allora, sappia con la sua catechesi scoprire le vie, in cui è carità andare incontro ai bisogni, ma anche sappia impegnare le sue energie con l'esempio e la dottrina per realizzare l'autentica giustizia, che è premessa e condizione di libertà.» È certamente un caso, ma non posso non rilevare che la recente enciclica di Benedetto XVI è intitolata: «Charitas in veritate» e che il cammino indicato dal vescovo Alberto per la sua missione episcopale è: «Veritas in Charitate». Approcci diversi ad uno stesso percorso.

• Responsabilità non paternalismi

Non c'è dubbio che anche una goccia d'acqua nel mar Morto può significare una vita in più. Non c'è anche dubbio che 20 miliardi di dollari sono tanti di fronte alle chiacchiere ed alle promesse a vuoto fatte finora. Ma sempre di elemosina e non di carità si tratta (anche se stavolta sembra che si voglia parlare anche dei criteri di gestione di quei dollari). Si tratta di flash d'attenzione rispetto a progetti di avvio a risanamento mirati e possibili o ai genocidi perpetrati in aree come il Sudan o in altre aree - cariche di materie preziose - sconquassate dall'arrembaggio di egoismi fuori di ogni controllo. Siamo poco più che alla presa d'atto. L'avvio di un percorso nuovo sottolineato dal Presidente USA, Barack Obama, è tutto da verificare. Anch'io ho fiducia nel suo lavoro come 'primus inter pares' di livello globale. Sta imponendo un ritmo e spendendo credibilità assai importanti. Ne ho molto meno in quei governanti che hanno sottoscritto impegni anche precedentemente, poi non mantenuti.
Per molti aspetti credo di convenire con Fulvio Scaglione, che su AVVENIRE di oggi (12,07,09) approfondisce il problema. «La buona notizia? L’Africa torna tra i grandi della politica. La cattiva notizia? Non ci sono altre notizie. L’esito dei summit, anche di quelli meglio rius
citi, va sempre preso con saggezza. Ed è basilare distinguere ciò che potrà durare da ciò che, magari anche nel bene, è destinato a passare.» «Nella parte sub sahariana del continente, il 32% della popolazione (260 milioni di persone, dati Fao) soffre la fame, con un aumento dell’11,8% sul 2008. Molti degli affamati, e di certo i 'nuovi' affamati, pagano la corsa dei prezzi dei prodotti agricoli, innescata da speculazioni partite nei Paesi ricchi e poi aggravata da una crisi finanziaria tutta Occidentale. Mantenere o aiutare gli indigenti è ciò che passa, frenare i meccanismi speculativi che si scaricano sui più deboli è ciò che resta. Ben vengano, dunque, i miliardi del G8 ma ancor più l’intenzione di puntare meno sugli aiuti alimentari e più sull’agricoltura, affinché gli africani possano mantenersi da soli.» «Oggi, però, il bisogno primario del l’Africa è trovare un ancoraggio con il resto del mondo. Uscire dalla condizione di continente assistito e marginalizzato e inserire la propria voce nel coro globale, ascoltando e facendosi ascoltare. Sentirsi dire più spesso, come ha fatto ieri Barack O bama nel discorso al Parlamento del Ghana: «Considero l’Africa parte fondamentale del nostro mondo interconnesso ». Principio importante perché consente poi di ricordare agli africani la responsabilità che de­riva dalla capacità. Con il suo talento per i gesti simbolici, Obama ha reso omaggio alla democrazia ghanese, ma al Kenia delle radici paterne ha riservato il ricordo di uno status economico un tempo florido e poi dissipato. Senza falsi buonismi ha detto che «il futuro dell’Africa spetta agli africani» e che «lo sviluppo dipende dalla buona governance, ingrediente andato perso in troppi luoghi e troppo a lungo». «Non si tratta di quattrini ma di vite. E di sviluppo nel senso più ampio del termine: politico, culturale (fino a quando il 62% dei 161 milioni di adulti analfabeti africani dovrà essere donna?), economico, persino sanitario. Lo sviluppo che nasce dal contatto e dalla contaminazione con l’esperienza altrui.»

martedì 7 luglio 2009

• Benedetto XVI ha firmato la «Caritas in Veritate»

La mia prima impressione è quella che ho accolto, in prima battuta, su LA STAMPA.
«
Il Pontefice parla di etica nell'economia. «Non dobbiamo esserne vittime, ma protagonisti - esorta Benedetto XVI - procedendo con ragionevolezza, guidati dalla carità e dalla verità». Alla globalizzazione serve «un orientamento culturale personalista e comunitario, aperto alla trascendenza» capace di «correggerne le disfunzioni». C’è, aggiunge, «la possibilità di una grande ridistribuzione della ricchezza». Dunque, al bando il protezionismo e le forme di egoismo particolaristico. La sussidiarietà, spiega il Papa teologo , «è l’antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista» ed è adatta ad umanizzare la globalizzazione.» Forse avrei preferito che,nella comunicazione, fosse privilegiata la parola AMORE alla parola CARITAS. Nella lingua corrente potrebbe essere meglio compresa.
L'Agenzia S.I.R. Servizio Informazione Religiosa ha così presentato l'enciclica.
LA RADICE NELLA “POPULORUM PROGRESSIO” DI PAOLO VI - La Carità è la via maestra della Dottrina sociale della Chiesa e va compresa alla luce della Verità rappresentata dall’annuncio cristiano: è questo il pensiero-guida presente nell’ Introduzione della nuova enciclica presentata oggi in Vaticano, sul quale Papa Benedetto XVI ha scelto di costruire il titolo, “Caritas in Veritate” . L’attuale Enciclica si pone sulla scia della “Populorum Progressio” di Paolo VI, che viene definita «la Rerum Novarum dell’epoca contemporanea». La Chiesa, si dice ancora nell’introduzione, pur non avendo soluzioni tecniche per i problemi, intende sottolineare però che il vero progresso deve coniugare sviluppo tecnico e potenziale di amore, per vincere il male con il bene. Il primo capitolo, intitolato «Il messaggio della Populorum Progressio» (paragrafi 10-20), sottolinea come già Paolo VI nell’enciclica del 1967 abbia evidenziato che lo sviluppo è vocazione perché nasce da un appello trascendente e che lo sviluppo umano integrale suppone la libertà responsabile della persona e dei popoli. Il sottosviluppo nasce dalla mancanza di fraternità e la società globalizzata ci rende più vicini ma non ci rende fratelli. Il secondo capitolo, intitolato «Lo sviluppo umano nel nostro tempo», si apre notando che Paolo VI aveva una visione articolata dello sviluppo, termine con cui intendeva l’obiettivo di far uscire i popoli da fame, miseria, malattie endemiche, analfabetismo. A tanti anni di distan
za vediamo l’emergere di problemi nuovi quali: globalizzazione, un’attività finanziaria mal utilizzata e per lo più speculativa, forti flussi migratori, sfruttamento sregolato delle risorse della terra. Cresce la ricchezza mondiale in termini assoluti ma aumentano le disparità; gli aiuti internazionali sono spesso distolti dalle loro finalità; sono presenti corruzione ed illegalità; c’è un utilizzo troppo rigido del diritto di proprietà intellettuale specie nel campo sanitario. Così rimangono vaste sacche di povertà e nazioni dove i diritti non sono rispettati. Nel terzo capitolo, intitolato «Fraternità, sviluppo economico e società civile», si ribadisce che rimangono importanti la giustizia distributiva e quella sociale come criteri regolativi dell’economia. Servono leggi giuste, forme di ridistribuzione guidate dalla politica, opere fondate sullo spirito del “dono”. Tra l’altro si nota che oggi cresce una classe cosmopolita di manager che si fissa da sé i compensi e risponde solo agli azionisti mentre investire e produrre hanno sempre un significato morale. Il quarto capitolo, intitolato «Sviluppo dei popoli, diritti e doveri, ambiente» rileva che non si possono svincolare i diritti individuali da una visione complessiva di diritti e doveri. Ad esempio nel campo demografico, la Chiesa ribadisce che la crescita demografica non è la causa prima del sottosviluppo e l’apertura alla vita è una ricchezza sociale. Si parla quindi di finanza etica, di tutela dell’ambiente, di uso responsabile delle risorse energetiche, di diritto alla vita e alla morte naturale. Il quinto capitolo, intitolato «La collaborazione della famiglia umana» ribadisce che lo sviluppo dei popoli dipende dal riconoscimento di essere una sola famiglia. Si parla di libertà religiosa, dialogo tra credenti e non credenti, ruolo della cooperazione internazionale per lo sviluppo. Il sesto capitolo, intitolato «Lo sviluppo dei popoli e la tecnica», nota come la tecnica possa prendere il sopravvento quando efficienza ed utilità diventano unico criterio della verità. Il Papa parla qui della “questione antropologica”, citando la manipolazione della vita, l’aborto, la pianificazione eugenetica delle nascite, l’eutanasia, tutte pratiche che alimentano una concezione materiale e meccanicistica della vita umana. Nella conclusione si ribadisce che la disponibilità verso Dio apre alla disponibilità verso i fratelli. L’umanesimo che esclude Dio è disumano.

(testo integrale in .pdf: clicca qui)

• "Scendi dal sicomoro"

«Entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, quand'ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomoro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”. Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: “È entrato in casa di un peccatore!” Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: “Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e. se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto”.
Gesù gli rispose: “Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”. (
Dal Vangelo secondo Luca 19,1-10)
Anche il Presidente del Consiglio (ma che dico ‘il premier’!) del nostro Paese è un uomo basso di statura e molto ricco; altri che non sono bassi - ma sono altrettanto ricchi, o quasi, ed in grado di gestire il pubblico potere ma ......

UN PREMIER COME ZACCHEO di Tonio dell'olio

PREGHIERA

"A tutti i cercatori del tuo volto/mostrati, Signore;/a tutti i pellegrini dell’assoluto,/vieni incontro, Signore;/con quanti si mettono in cammino/e non sanno dove andare/cammina Signore;/affiancati e cammina con tutti i disperati/sulle strade di Emmaus;/e non offenderti se essi non sanno/che sei tu ad andare con loro,/tu che li rendi inquieti/e incendi i loro cuori;/non sanno che ti portano dentro:/con loro fermati poiché si fa sera/e la notte e buia e lunga, Signore". (D.M.TUROLDO, I salmi , Paoline, Cinisello Balsamo, 1987)

domenica 5 luglio 2009

• Servono impegno e solidarietà contro la povertà

La lettera di Benedetto XVI a tutti coloro che parteciperanno al prossimo G8 è un importante richiamo a tutti della necessità di coerenza tra ciò che si afferma e ciò che si fa, tra gli impegni assunti nel tempo e quello che si è fatto per farvi fronte; del rifiuto dell'opportunismo occasionale. La situazione globale è sempre più critica. Una organica risposta alla sopravvivenza ed alle inevitabili osmosi migratorie (quasi sempre dettate dalla fame e dalla ingiustizia) urge con sempre maggior forza. Molte norme 'poliziesche' per porvi tampone contingente hanno sempre di più il sapore di 'gride' seicentesche, tanto urlate quanto incapaci di far fronte al problema.
Lettera di Benedetto XVI al Presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, in vista del Vertice de L'Aquila CITTA' DEL VATICANO, domenica, 5 luglio 2009 (ZENIT.org).- La crisi economica non deve far venire meno l'aiuto ai Paesi in via di sviluppo e l'impegno per eliminare la povertà estrema nel mondo. E’ quanto scrive Benedetto XVI in una lettera indirizzata al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, in vista del prossimo G8 dei capi di Stato e di governo del Gruppo dei Paesi più industrializzati, che si svolgerà sotto la presidenza italiana a L’Aquila dall’8 al 10 luglio prossimi. Nel testo, il Papa affronta le sfide poste dalla crisi globale ed esorta i leader politici mondiali a “convertire il modello di sviluppo globale” ai valori della solidarietà e della “carità nella verità”: tema al centro della nuova Enciclica papale che sarà pubblicata martedì prossimo, 7 luglio, proprio alla vigilia del Vertice de L'Aquila. Nel passato recente - afferma il Santo Padre - la maggioranza dei Paesi meno sviluppati ha potuto godere di un periodo di straordinaria crescita che ha consentito a molti di questi Stati di sperare nel conseguimento di uno degli obiettivi fissati dalla comunità internazionale alla soglia del terzo millennio, quello cioè di sradicare la povertà estrema e la fame. Tra gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite che tutti i 191 stati membri dell'ONU si sono impegnati a raggiungere per l'anno 2015 c'è infatti quello di ridurre della metà la percentuale di popolazione che vive con meno di un dollaro al giorno. “Purtroppo - osserva poi il Papa - la crisi finanziaria ed econo mica, che investe l’intero Pianeta dall’inizio del 2008, ha mutato il panorama, cosicché è reale il rischio non solo che si spengano le speranze di uscire dalla povertà estrema, ma che anzi cadano nella miseria pure popolazioni finora beneficiarie di un minimo benessere materiale”. L’attuale crisi economica mondiale – continua la lettera - comporta la minaccia della cancellazione o della drastica riduzione dei piani di aiuto internazionale, specialmente in favore dell’Africa e degli altri Paesi economicamente meno sviluppati. Per questo, il Papa lancia un appello agli Stati membri del G8, agli altri Paesi rappresentati e ai Governi del mondo intero, affinché “l’aiuto allo sviluppo, soprattutto quello rivolto a valorizzare la risorsa umana, sia mantenuto e potenziato, non solo nonostante la crisi, ma proprio perché di essa è una delle principali vie di soluzione”. In particolare Benedetto XVI raccomanda di valutare “l'efficacia tecnica dei provvedimenti da adottare per uscire dalla crisi” alla luce della loro “valenza etica”. Per questo invita in modo particolare ad assicurare a tutti un posto di lavoro, a dar vita a un equo sistema commerciale e a “riformare l'architettura finanziaria internazionale”, evitando fenomeni speculativi e garantendo disponibilità di credito pubblico e privato “al servizio della produzione e del lavoro” soprattutto nei Paesi più disagiati. Infine, sottolinea il Papa, “la legittimazione etica degli impegni politici esigerà che essi siano confrontati con il pensiero e le necessità di tutta la comunità internazionale”, in particolare attraverso il collegamento con l'Assemblea delle Nazioni Unite, dove “ogni nazione, quale che sia il suo peso politico ed economico, può legittimament e esprimersi in una situazione di uguaglianza con le altre”