domenica 29 marzo 2009

• La vocazione dell’uomo secondo la dottrina sociale della Chiesa

Mons. Giampaolo Crepaldi, Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ha proposto una riflessione sulla vocazione dell'Uomo per un convegno organizzato a Mumbai, dal 13 al 15 marzo scorso, dalla Conferenza Episcopale Indiana. Ha, tra l'altro detto: «Leone XIII affermava che «Non c’è vera soluzione della questione sociale fuori del Vangelo» e Giovanni Paolo II ha ripreso questa verità nella Centesimus annus[1]. Ciò non significa che il Vangelo contenga soluzioni empiriche e tecniche delle questioni sociali, come il Magistero ha più volte chiarito. Significa, però, che chiudendo il riferimento a Dio, come ammonisce Benedetto XVI, «i conti non tornano. I conti sull’uomo, senza Dio, non tornano, e i conti sul mondo, su tutto l’universo, senza di Lui non tornano»[2]. Non tornano perché l’uomo è vocazione e quando viene messa a tacere tale chiamata egli si aliena da se stesso. Ma cosa intendiamo dire affermando che l’uomo è vocazione? Giovanni Paolo II ha scritto che «È nella risposta all’appello di Dio, contenuto nell’essere delle cose, che l’uomo diventa consapevole della sua trascendente dignità. Ogni uomo deve dare questa risposta, nella quale consiste il culmine della sua umanità, e nessun meccanismo sociale o soggetto collettivo può sostituirlo»[3]. L’identità non è qualcosa che possiamo darci da soli, né come individui né come popoli. L’identità personale nasce sempre da una chiamata, da una vocazione. L’amore ci costituisce e ci fa scoprire il nostro valore: se non siamo cercati né amati come potremmo pensare di essere qualcosa e di valere qualcosa? Il nostro stesso essere rappresenta per noi una chiamata: non ce lo siamo dati da soli. Non abbiamo deciso noi né di essere, né che tipo di uomo essere. Lo stesso vale per i popoli e le culture: «Al centro di ogni cultura sta l’atteggiamento che l’uomo assume davanti al mistero più grande: il mistero di Dio»[4]. Dato che esiste una natura umana che trascende le culture e le convoca chiamandole, le culture possono costituirsi e dialogare tra loro nella verità.»
Lo propongo alla lettura nella sua interezza (per come trascritto dalla agenzia Zenith,org, di cui al link sottostante).

mercoledì 25 marzo 2009

• Urgenza di una rilettura del capitalismo

In questi ultimi tempi si è letto e detto molto sulla ‘fine’ del capitalismo e sulla sua valenza anticristiana. Come spesso accade, quando ci scappa il morto (nel nostro caso la travolgente crisi del sistema finanziario a livello globale, e non solo) entrano tutti in fibrillazione come se degenerazioni e radicalismi non fossero figli di tutti coloro che non le avevano adeguatamente combattute e si erano comportati da sudditi ossequienti di chi le stava promovendo. Anche il capitalismo è solo uno strumento e come tale può essere usato per o contro il bene comune. Diventa (e lo è sempre stata) essenziale la relazione tra etica e capacità e possibilità di governo della polis da parte dei titolari dei vari ruoli. Anche la Chiesa sta rileggendo le sue riflessioni in materia per meglio precisarle (almeno questo mi aspetto) e per riaffermare il proprio ruolo nella richiamata relazione. A breve ci si aspetta una enciclica sociale di Benedetto XVI.
Come ulteriore stimolo di riflessione ed approfondimento, consiglio la lettura dell’articolo di Aldo Maria Valli su EUROPA.

Il capitalismo secondo Ratzinger

Richiamo alla prima pubblicazione del 4 gennaio 2009

• Il liberalismo muore di autosufficienza

Vale la pena di una attenta riflessione (anche con riferimento alle conseguenze concrete delle eventuali ricadute) quanto affermato dal prof. Marcello Pera al convegno "Il modello americano nelle relazioni tra Chiesa e Stato" svoltosi a Roma in occasione dei venticinque anni delle relazioni diplomatiche formali tra Stati Uniti e Santa Sede. A quanto riferito dell’Osservatore Romano, egli ha detto tra l’altro: «se la società liberale non è un miracolo, ma dipende dagli uomini, che cosa devono fare essi per mantenerla? 
I padri del liberalismo avanzarono una risposta. Dissero che la società liberale è una società religiosa. Tutti, fino dallo stato di natura, sono sottoposti a una legge divina di natura, cioè una legge morale che tutti conoscono o possono conoscere mediante una riflessione razionale". Oppure dissero che la società liberale è una società razionale, cioè che tutti sono sottoposti alla stessa ragione universale, e questa ragione ci consente di scoprire la legge morale. "John Locke - ha ricordato - percorse la prima strada, Immanuel Kant la seconda, ma tutti e due arrivarono alla stessa conclusione poi formulata da Jefferson". Ovvero che le libertà liberali "sono compatibili se gli uomini si considerano sottoposti a Dio, e la società liberale può essere edificata se gli uomini la considerano un "dono di Dio"».


Richiamo alla prima pubblicazione del 14 gennaio 2009

• Cristiani ed ebrei, fratelli divisi

Il priore di Bose, Enzo Bianchi, ci ripropone una lettura delle relazione ebrei-cristiani. Su di essa dobbiamo misurarci, nel rifiuti di atteggiamenti pregiudiziali. Il pezzo, proposto attraverso LA STAMPA non è, a mio avviso, solo interessante ma importante - non solo per quelli come noi che si impegnano nel seguire Cristo ed il suo insegnamento.
Enzo Bianchi comincia in questa maniera il suo approfondimento: «Oggi, 17 gennaio, vigilia della settimana di preghiera per l'unità visibile di tutte le confessioni cristiane, ebrei e cristiani avrebbero dovuto celebrare insieme la giornata dedicata al dialogo religioso tra loro. Questa iniziativa, voluta e perseguita da quel gruppetto sparuto che a partire dal Concilio Vaticano II si era particolarmente impegnato nell’incontro, nella conoscenza e nel confronto con gli ebrei (il Sae, la Comunità di Bose e il sottoscritto, altri pionieri del dialogo ecumenico...), trovò poi nel 1990 un’istituzione precisa e fissa grazie allo stimolo di mons. Alberto Ablondi, vescovo incaricato per l’ecumenismo di parte cattolica in Italia. Un’iniziativa «italiana», che fu più tardi assunta da altre Chiese europee, un’iniziativa convinta: nel dialogo tra le Chiese cristiane non si poteva dimenticare il dialogo con gli ebrei, i nostri fratelli (l’aggiunta dell’aggettivo «maggiori» ha solo un senso affettivo), perché noi e loro siamo stati generati sulla radice santa dell’Israele che è in alleanza eterna e mai revocata con il Dio uno, vivente e vero. Sappiamo che il dialogo tra ebrei e cristiani è asimmetrico.
Noi cristiani abbiamo bisogno di dialogare con loro e di guardarli come popolo di Dio nella storia, mentre gli ebrei a livello teologico non hanno un eguale bisogno di noi; infatti, terminato il tempo della teologia del disprezzo nei loro confronti, noi abbiamo iniziato ad abbozzare una teologia dell’ebraismo, mentre sappiamo di non poter pretendere un cammino speculare da parte loro. Per noi cristiani «l’Israele di Dio» (Gal 6,16), cioè gli ebrei credenti e confessanti Dio (e solo Dio li conosce in verità), ci sta accanto in attesa del compimento delle promesse di Dio, che possiamo accelerare solo attraverso la preghiera.

Non bisogna d’altra parte dimenticare che, dopo lo «scisma» tra ebrei e cristiani alla fine del I secolo e fino all’ora del Concilio Vaticano II, noi abbiamo pregato inoculando nelle nostre preghiere sovente disprezzo e a volte vero e proprio odio nei confronti degli ebrei. Basterebbe ricordare che il Venerdì Santo pregavamo «per i perfidi giudei» e per loro non ci inginocchiavamo, ma addirittura facevamo baccano con le raganelle, strumento sinistro in uso solo nei giorni santi. Poi venne la fine del disprezzo, soprattutto grazie a Giovanni XXIII, che tolse dalla liturgia l’aggettivo «perfidi» e chiese che si pregasse solo «per i giudei». Da allora è stato fatto un cammino impensabile anche per noi addetti ai lavori e, in un certo senso, impegnati nel dialogo ecumenico: lo dimostrano i testi del Vaticano II (in particolare la dichiarazione Nostra Aetate), la riforma liturgica, le parole sull’«alleanza mai revocata» pronunciate da Giovanni Paolo II nella sua visita del 1980 alla sinagoga di Magonza, la preghiera comune fatta nel 1986 nella sinagoga di Roma, fino ai recenti incontri di Benedetto XVI con gli ebrei. Va riconosciuto: è stato un cammino imprevedibile e molto più rapido dello stesso cammino ecumenico tra cristiani! ».

Ma vale la pena di leggere il testo completo.


Richiamo alla prima pubblicazione del 17 gennaio 2009

martedì 24 marzo 2009

• Testamento biologico: le parti in causa

Su problemi 'eticamente sensibili' si rilevano due posizioni: quella di chi si batte decisamente (spesso fino ai limiti di un fondamentalismo discutibile) per far prevalere le posizioni di principio che gli sono proprie; quella di chi coglie l'occasione per strumentalizzare il problema per mettere in difficoltà l'avversario.
In questi giorni abbiamo davanti il caso del DAT - testamento biologico.
In una realtà come quella nella quale è costretto il nostro Paese in questi ultimi anni ( cioè di una realtà nella quale i raggruppamenti politico-partitici annotano la compresenza di persone con principi e valori etici 'assoluti', talora diversi) è necessario assicurare la libertà di coscienza dei propri militanti al momento del voto degli atti deliberanti. È l'unica possibilità di mantenere vitale il patto di convivenza, dal momento che i motivi costitutivi di una aggregazione di persone sono soprattutto legati ai tempi ed ai modi coi quali si possono raggiungere obiettivi nel breve-medio periodo. Se tale patto si logorasse si andrebbe diritti per uno stato di conflittualità permanente.
È perciò da comprendere l'imbarazzo attuale delle dirigenze di partiti come il PDL e come il PD. Hanno a che fare con una composizione dei gruppi parlamentari assai varia e governabile, spesso, sulle opportunità elettorali e disciplinari interne.
Piaccia o meno le conseguenze normative di tutto questo tendono a rispondere ad esigenze più formali che sostanziali (anche se poi con le ricadute di queste nella comunità si devono fare i conti). Da ciò il progressivo indebolimento della credibilità della normativa e le forzature applicative che ne derivano, in ogni direzione.
Nel PD e nel PDL (ma non solo) sono presenti persone deliberanti con dichiarata sensibilità ai valori ed ai principi della vita, così come richiamati dall'essere cristiani; altri decisamente 'relativisti' ed altri indifferenti (quindi tendenzialmente opportunisti). In entrambi i gruppi, quelli che si richiamano esplicitamente ai principi cristiani sono minoranza.
Ci si può battere a viso aperto per i propri principi ovunque riteniamo possibile una maggior affermazione di ciò che individuiamo come bene comune.
Ma chi dall'esterno dei gruppi ci richiama a principi e valori - che riteniamo nostri - non può sostenere più gli uni degli altri, secondo opportunità e convenienza del momento. È un atteggiamento, presente anche in recente passato, ma che lascia (certamente me) ampiamente perplessi.
Per quanto mi riguarda, tendo a considerarli come cascami di una cultura che non vuol tener conto del fatto che nella comunità si è tra diversi, che non tutti la pensano come noi e che siamo da decenni una minoranza (importante, ma una minoranza!). Anzi conviviamo tra diversi non solo secondo le culture affermatisi negli ultimi due secoli nel mondo occidentale ma dovendo tener conto anche di culture maturate in altre realtà continentali.
Allora dobbiamo chinare la testa e subire le altrui convinzioni? Certamente NO. Ma dobbiamo creare le condizioni, tutti insieme, per evitare sovrapposizioni e sincretismi e per giungere a punti d'incontro comuni in un contesto di regole accettate, dalla gran parte dei cittadini, secondo ragione ed intelligenza.

• Lavoratori inglesi contro lavoratori italiani

Proteste contro l'arrivo di lavoratori italiani e portoghesi sul sito della raffineria Lindsey Oil, nell'est dell'Inghilterra, in conseguenza di una gara di appalto regolare. Sono arrivati circa 300 specialisti del gruppo siracusano Irem. Le maifestazioni si estendono a macchia d'olio in tutto il Regno Unito. Per il terzo giorno, i lavoratori hanno incrociato le braccia nel sito del Lincolnshire ma altre centinaia sono in sciopero in Scozia, in Galles e in altre regioni dell'Inghilterra. E per il ministro dell'Ambiente, Hilary Benn, gli inglesi inferociti "hanno diritto ad avere una risposta". Sugli striscioni dei manifestanti si legge: 'Gli italiani rubano i nostri posti'
Il problema della sopravvivenza e del mantenimento /ricerca del posto di lavoro sta diventando ogni giorno più drammatico in ogni parte del mondo. Sempre più spesso assistiamo a 'guerre' fra poveri, tra persone e famiglie che cercano affannosamente un gavitello, cui fare riferimento per disporre di un approdo sicuro. La superficialità con la quale in Italia si era mediaticamente esaltata, come primo atterraggio 'morbido', la riduzione della detassazione degli straordinari si è rivelata per quello che era.
Il livello al quale stiamo arrivando e dal quale dobbiamo uscire il prima possibile (se vogliamo alimentare la speranza di una ripresa e di una crescita), è quello della banalizzazione dei fenomeni; e quello di procedere con sempre maggior decisione a riforme strutturali come quella recente dell'accordo quadro per le relazioni industriali e per la contrattazione. Questa riforma strategica è stata un momento ineludibile in previsione di un auspicato lancio di una proposta organica per l'occupazione ed il salario di sopravvivenza; se maggioranza ed opposizione mostreranno coraggio e chiarezza strategica (ma, stando ai numeri del Parlamento, soprattutto la maggioranza considerando che la minoranza questo richiede da tempo come urgente e necessario). Ogni giorno la situazione si avvita sempre più su se stessa e fratture e tensioni nel tessuto sociale aumentano esponenzialmente, come dimostra quanto accade in Gran Bretagna in questi giorni.
Già si sente girare voce che non solo all'interno dell'Europa, ma anche all'interno dei singoli Paesi (qualche voce anche in Italia), si devono porre dei limiti territoriali per l'intercettazione della manodopera occorrente, qualificata e non.
Penso ai cartelli 'terribili' del dopoguerra posti all'ingresso di alcuni bar di Torino e Milano: Vietato l'ingresso ad animali e meridionali. Questa guerra fra poveri, che l'episodio inglese richiama, deve essere ad ogni costo evitata. Ne va della sopravvivenza di un minimo di solidarietà fra chi sta peggio e non vede spiragli per il futuro. Il crac sociale non è solo una ipotesi; se continua il ritardo o l'assenza di iniziative per il bene comune.
La bufera nella quale ci troviamo è figlia di tutti coloro che hanno 'sminestrato' le dinamiche finanziarie (traendone vantaggi personali ed inducendo il crollo drammatico di questi mesi). L'homo homini lupus tanto invocato negli anni passati, anche nel nostro paese, frutto di un mercato senza regole o quasi nulle, non poteva che portare a questi risultati. È urgente tornare a fare politica (quella vera non quella con battute da cabaret) ed a farla finita con campagne elettorali permanenti, tipiche del grillismo salottiero.


Richiamo alla prima pubblicazione del 31 gennaio 2009

• ELUANA: il confine col quale misurarsi

In questi giorni tra TV, giornali e riviste si è scatenato tutto il gota dei fondamentalismi, di varia colorazione ed entità. Il caso della Englaro e della sua famiglia ci sta interpellando, (tutti: credenti e non credenti) da ogni punto di vista. Ci sta ponendo interrogativi (qualche volta sopiti) sulla nostra fragilità e sul momento nel quale cessiamo il nostro percorso (terreno, per chi ha fede).
Abbiamo - tutti - bisogno di conoscere sempre di più (per quanto umanamente possibile) . Abbiamo bisogno di ascolto qualificato e di silenzio.
È in questo delicatissimo momento, però, che si innescano quelle che a me sembrano le speculazioni più artificiose ed ignobili. C'è chi cerca caparbiamente di riaffermare un laicismo pregiudiziale o un ipse dixit per le proprie convinzioni di fede e cerca di imporle a tutti, convinti o meno (senza alcun rispetto per il libero arbitrio di cui siamo comunque portatori, qualsiasi lettura se ne faccia).
C'è chi strumentalizza la Chiesa in maniera indecente per fini personali o di gruppo. C'è chi cerca di fare dimenticare proprie fragilità ed incapacità politiche e progettuali alzando la voce su questo dramma; di camuffare l’obiettivo di un nuovo equilibrio di potere nella istituzioni, funzionale alla sua aspirazione presidenzialista e propone addirittura salti all'indietro secolari. Il solito ‘qualcuno’ in questi giorni ha fatto perfino una scoperta (e sembra crederci per come la esterna in TV!): i cattolici impegnati in politica nel 1948 avevano assunto all'assemblea costituente come modello la Costituzione sovietica!!! Quanto meno De Gasperi, La Pira, Tambroni, Gronchi, De Nicola, Einaudi - per citarne solo alcuni - si rivoltano nella tomba.
Qualche 'leader' si atteggia a nuovo crociato in caccia del voto (soprattutto di matrice cattolica), dimenticando i più vergognosi atteggiamenti contro la dignità dell'Uomo proclamati solo qualche giorno fa con le norme anti-immigrati o usando quotidiane battute da "barrino sottocasa" con le quali ironizzare su debolezze e povertà. In ciò imitando chi sostiene contemporaneamente la necessità della pena di morte ed il No all'aborto (o viceversa), in Italia e fuori d'Italia.
Non è - non può - essere il momento delle forzature. Non è il momento dello scontro fra i bianchi e i neri o i rossi, delle fazioni contradaiole alla senese. È il momento della responsabilità e della riflessione, di essere uomini tra gli uomini portatori degli stessi diritti e degli stessi doveri, che nessuno può esercitare da solo ma può farlo correttamente nella societas, insieme agli altri comunque si chiamino.

Richiamo alla prima pubblicazione del 9 febbraio 2009

• Il capitalismo e la crisi economica

«I Governi di tutto il mondo che stanno faticosamente tentando di salvare le loro economie – prima è stata la volta delle banche e delle istituzioni finanziarie, poi si è passati alle assicurazioni e, più recentemente, alle aziende dell’industria dell’auto – il dibattito sul più corretto rapporto tra Stato, società e mercato è ormai uscito dal recinto delle discussioni accademiche per diventare di stringente attualità e concreta rilevanza.»
È il modello del capitalismo che è rimesso in discussione. Da taluni apertamente accusato di essere la causa prima di quella crisi finanziaria che ha contribuito non poco ad accrescere la virulenza della recessione che sta oggi mettendo in ginocchio tutto il mondo. Il tema era stato anticipato dall'enciclica Centesimus Annus da Giovanni Paolo II.
Il prof. Marseguerra (Segretario scientifico della Fondazione Vaticana Centesimus Annus - Pro Pontifice) ed il prof. Romano Prodi hanno proposto alcune importanti riflessioni.

prof. Romano Prodi
prof. Giovanni Marseguerra
Il capitalismo e le sfide della crisi economica


Richiamo alla prima pubblicazione del 9 febbraio 2009

• Liberi e forti per la giustizia e la libertà

Inizia la preparazione e la riflessione per la prossima Settimana sociale (autunno 2010).
Il 27 febbraio u.s. si è svolto a Caltagirone, in Sicilia, un incontro promosso dal Comitato Scientifico e Organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani e dalla Diocesi di Caltagirone sul tema “…Senza pregiudizi né preconcetti. Per gli ideali di giustizia e di libertà, nella loro interezza”.
Il convegno è stato organizzato in memoria del 90° anniversario dell’appello “Ai liberi e forti” di don Luigi Sturzo del 18 gennaio 2009.
Monsignor Arrigo Miglio (vescovo di Ivrea), Presidente della Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace e Presidente del Comitato Scientifico Organizzatore delle Settimane Sociali, ha introdotto il convegno spiegando il significato e la rilevanza del bene comune e l’impegno dei laici per garantirlo. “Impegno mai venuto meno”.
Dopo aver rilevato il forte appello ai fedeli laici per il servizio del Paese, lanciato dal Santo Padre, al Convegno Ecclesiale di Verona, ha sostenuto che “la missione di tutta la comunità ecclesiale a servizio del Bene Comune e la missione specifica dei fedeli laici nel servizio sociale e politico, ci introducono direttamente ai lavori di questo incontro dedicato all’appello che Don Luigi Sturzo lanciava 90 anni fa a tutti gli uomini liberi e forti”.
Si tratta di un momento assai importante che cade in una fase nella quale il ruolo della Chiesa nella Comunità italiana si trova ad un passaggio importante che non può essere risolto con la sclerosi di ideologismi (cascami dell’ansia di rompere un assedio o di un auto-isolamento o nella utopica speranza di egemonie contingenti).
Perché non scriverne insieme? Intanto seguine il link per una lettura completa:
Liberi & forti
Richiamo alla prima pubblicazione del 28 febbraio 2009