venerdì 25 settembre 2009

• Tempi cattivi e noi cristiani


EUROPA del 25 settembre u.s. pubblica un interessante riflessione di Pierluigi Castagnetti, che condivido e che, comunque, richiede un momento di sosta e di valutazione. È stata titolata: «Tempi cattivi e noi cristiani»
Pur consigliandone la lettura completa, ne trascrivo solo un brano: «Le crisi avvengono per evitarci il peggio», scrive Christiane Singer (Du bon usage des crises, 1996). E prosegue: «In mancanza di maestri, nelle società in cui viviamo, sono le crisi i grandi maestri (...) che possono aiutarci a entrare nell’altra dimensione, nella profondità che dà senso alla vita». Che questo sia tempo di crisi (del mondo, dell’Italia, della politica, di noi cioè del Pd) è fuori discussione.
Crisi profonda. Morale, culturale, civile e – inevitabilmente – politica. Non solo c’è la crisi, ma c’è l’assuefazione alla crisi che è ancor più grave, perché riduce la percezione della natura della crisi stessa.
È in atto infatti – per rimanere solo al piano della politica – non solo una grave perdita di valori, ma la perdita delle regole (che, in parte, è la stessa cosa), lo svuotamento del senso, cioè dell’in sè e insieme del ruolo delle istituzioni, oltreché della responsabilità di chi è chiamato a guidarle. La maggioranza e l’opposizione rischiano di smarrire la memoria delle proprie – distinte ma concorrenti – responsabilità. Il capo del governo e alcuni ministri rifiutano la civiltà del linguaggio e dei comportamenti e ritengono lecita l’aggressione e l’intimidazione di chi li critica, siano politici, intellettuali o giornalisti. Gran parte dei mezzi di informazione subisce il ricatto della prepotenza e converte la propria missione in quella di narratrice delle gesta del principe.
Non è un caso che in tale situazione sia la voce, pur ancora flebile ma mai ripiegata, della Chiesa a esprimere un’alterità composta e ferma, contro la quale non sorprende che si sia scatenata un’aggressione così violenta da aver provocato le dimissioni dell’unico laico accreditato a rappresentare il pensiero della gerarchia italiana, il direttore di Avvenire Dino Boffo.
E duole constatare che, in tale situazione, anche in casa Pd non si trovi di meglio da parte di taluni che issare la polemica oggettivamente consumata della laicità, lo sguardo cioè sul famoso dito del bambino anziché sulla luna.
A me pare invece che, proprio in questo momento di crisi, crisi anche per mancanza di sussulti di reazione, ci si debba sforzare di trovare l’intelligenza e il coraggio per andare in profondità, cioè per profittare della crisi per interrogarsi e capire da dove ripartire.
Per chi è credente c’è una strada segnata: lasciarsi interpellare, giudicare, mettere in crisi dalla parola di Dio.
San Paolo parla di giorni cattivi per indicare i tempi di crisi. L’aggettivo cattivo non è solo nelle cose, nei fatti, nei comportamenti personali del tempo presente, è stato persino evocato come parola sulla bocca di un ministro che ne ha fatto una cifra, un manifesto programmatico: «Ci vuole cattiveria, vogliamo essere cattivi». E, invece, ci viene indicato: «Fate molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da sapienti, facendo tesoro del tempo perché i giorni sono cattivi» (Lettera agli Efesini 5,16).
«È ora che si sappia declinare nell’oggi la fede come resistenza, capacità di dire “no” per salvaguardare il “sì” grande e non negoziabile al Vangelo e ai diritti dei deboli », ha detto recentemente il monaco Luciano Manicardi (Triuggio, 12 settembre 2009). La fede come resistenza alla decadenza, all’assuefazione, al conformismo, al silenzio: ecco la responsabilità dei cristiani nei tempi cattivi.»

lunedì 21 settembre 2009

• Superare limiti ed insufficienze


Franco Garelli scrive su LA STAMPA del 21 settembre: «A detta di monsignor Miglio, responsabile per i problemi sociali della Cei, «il mondo cattolico deve dare all’Italia qualcosa di molto diverso da quello che viene offerto ogni giorno». Ma forse il malcontento più profondo per la situazione nazionale è individuabile nell’ultima dichiarazione del numero due della Cei, monsignor Crociata, per il quale dalla crisi emergeranno nuovi assetti politici e nuove prospettive; come a dire che lo sfilacciamento non può durare a lungo e che bisogna prepararsi a nuovi scenari. La Chiesa, dunque, reagisce alle polemiche che hanno portato alle dimissioni del direttore di Avvenire (e ad altri punti caldi, come il conflitto con la Lega sui flussi migratori e le critiche sullo stile di vita di Berlusconi) alzando lo sguardo ai problemi del Paese e riflettendo anche sulle proprie responsabilità.»

Sta accadendo ciò che molti avvertivano. Lo scenario nel quale muovere i propri passi nel nostro paese e nel mondo è profondamente mutato. Il contributo che sono chiamati a dare essenziale. La cultura cattolica e gli uomini (che nel piccolo e nel grande, nell’immediato ed in prospettiva, temporalmente incarnano) devono rivedere la strategia e le tattiche che sovrintendevano alla lettura ‘Ruini’. Ogni giorno tutti noi avvertiamo insofferenza per ciò che riproduce acriticamente schemi ed ingabbiamenti di cui chiari sono limiti ed insufficienze. Non può bastare invocare compattezza, omogeneità ed obbedienza per progetti di breve-medio termine (che pur occorrono per non procedere a casaccio), o solo sbirciare la sostanza comunitaria.

Ciascuno di noi è chiamato ad un rinnovato impegno ed a scuotersi di dosso la polvere, che può essersi depositata, ed a allontanare annebbiamenti impropri. Occorre una nuova puntura di coraggio e di tensione. I biblici ‘custodire’ e ‘coltivare’ sono impegni permanenti. La preghiera ed il rifiuto del 'carpe diem' la nostra forza.

domenica 20 settembre 2009

• Marcia del lavoro


Alcuni amici sollecitano il mio parere su alcune loro idee per iniziative che rendano ancor più palese l’interessamento dei cristiani per la gravità di due fenomeni: disoccupazione e quantità finanziarie disponibili in concreto da parte delle famiglie; morti e infortuni sul lavoro.

Ricordavano, gli amici, che era stata lanciata, a suo tempo, la proposta di una ‘marcia del lavoro’ silenziosa sulla salita di Montenero, guidata dal vescovo o da suoi delegati, che portasse i lavoratori e le lavoratrici ed i loro rappresentanti sindacali da piazza delle Carrozze alla piazza del santuario al termine della quale dare la parola, per 10 minuti cadauno, ad una lavoratrice e ad un lavoratore, con chiusura da parte di un rappresentante diocesano.

A parte il fatto che l’idea dovrebbe essere ricalibrata stante l’evolversi della situazione locale, credo che tali amici dovrebbero comunque proporla direttamente a chi segue la pastorale sociale per conto della diocesi ed a lui chiedere consiglio e con lui confrontarsi.

Tuttavia l’idea mi sembra ancora degna di nota. In ogni caso la vicinanza a lavoratori e lavoratrici per i due problemi è importante in diocesi, come dimostrano alcune sortite recenti del vescovo Simone.

venerdì 18 settembre 2009

• Obbedire = ob-audire: ascoltare stando di fronte.


Una riflessione di don Tonino Bello, tratta dal suo scritto «MARIA, DONNA DEI NOSTRI GIORNI», ediz. Paoline 1996. [Un frammento, invitando alla lettura completa. Il testo si trova anche in rete]


«Si sente spesso parlare di obbedienza cieca. Mai di obbedienza sorda. Sapete perché?Per spiegarvelo devo ricorrere all' etimologia la quale, qualche volta, può dare una mano d'aiuto anche all'ascetica.Obbedire deriva dal latino ob-audire, Che significa: ascoltare stando di fronte.Quando ho scoperto questa origine del vocabolo, anch' io mi sono progressivamente liberato dal falso concetto di obbedienza intesa come passivo azzeramento della mia volontà, e ho capito che essa non ha alcuna rassomiglianza, neppure alla lontana, col supino atteggiamento dei rinunciatari. Chi obbedisce non annulla la sua libertà, ma la esalta. Non mortifica i suoi talenti, ma li traffica nella logica della domanda e dell' offerta.Non si avvilisce all'umiliante ruolo dell'automa, ma mette in moto i meccanismi più profondi dell'ascolto e del dialogo.C'è una splendida frase che fino a qualche tempo fa si pensava fosse un ritrovato degli anni della contestazione: "obbedire in piedi". Sembra una frase sospetta, da prendere, comunque, con le molle. Invece è la scoperta dell'autentica natura dell' obbedienza, la cui dinamica suppone uno che parli e l'altro che risponda. Uno che faccia la proposta con rispetto, e l'altro che vi aderisca con amore. Uno che additi un progetto senza ombra di violenza, e l'altro che con gioia ne interiorizzi l'indicazione.In effetti, si può obbedire solo stando in piedi. In ginocchio si soggiace, non si obbedisce. Si soccombe, non si ama. Ci si rassegna, non si collabora.»

venerdì 11 settembre 2009

• Incompatibilità dei ruoli pubblici ed ecclesiali


Si pone da sempre il problema della distinzione dei ruoli tra chi è chiamato ad esercitare un ruolo rappresentativo nelle istituzioni, in un partito o in una associazione non ecclesiale e quello esercitato in un qualsiasi livello per conto della Comunità ecclesiale, dalla parrocchia, alla associazione ecclesiale,alla diocesi, ecc. Entrambi i ruoli esigono reciproca autonomia e trasparenza e quindi sottendono una netta e reciproca incompatibilità di esercizio (formale e sostanziale). Non a caso la chiesa locale livornese in anni recenti lo ha confermato in alcuni documenti pubblici.

Nelle NOTE ai candidati per le elezioni locali del 2004, tra l’altro, confermava: «il rifiuto netto di assegnare ai cattolici il ruolo di assistenti sociali della politica e di esperti in povertà; quello di chi si chiude in una nicchia e rinuncia alla fatica di pensare il mondo e di immergersi nei processi contemporanei». ed aggiungeva a tale proposito di condividere «senza riserve, la scelta consolidata di non coinvolgere strutture e persone aventi responsabilità operative ad ogni livello nella Chiesa locale, in impegni di sostegno elettorale - diretto o indiretto - per chicchessia; non essendo totalizzante il ruolo che la Chiesa intende svolgere nell’insieme della Comunità. Non si dimentica infatti che, per ciascun soggetto e persona, essere autonomi non significa rendersi estranei a qualcosa o a qualcuno ma rendersi idonei ad agire, pensare, progettare senza ricercare od accettare vincoli esterni di subordinazione o delegare ad altri soggetti scelte che riguardano la sua possibilità e capacità di partecipare.»

Non solo ma precisava nel documento “da cristiani in politica” che, tra i “requisiti per il cristiano eletto in una carica di rappresentanza”, doveva essere considerata l’autonomia reciproca dei ruoli civile ed ecclesiale col «rispetto e promozione di tutte quelle regole che richiedano incompatibilità fra possibili incarichi diversi».