domenica 24 gennaio 2010

• Autonomia, concertazione, partecipazione.


Spesso quando si scrive e si parla di innovazione metodologica del far politica si attribuiscono ad alcune parole ed espressioni significati impropri. Così si scambia autonomia di ruolo dei vari gruppi sociali nella Comunità con autorerenzialità ed autosufficienza. Così concertazione si confonde strumentalmente con consultazione. Così volutamente si legge condivisione ed adesione ad un progetto come accettazione di una autorità monocratica che tutto regola, anche all’interno dei gruppi socio-economici. Così partecipazione, ribaltandone addirittura il significato più proprio, come momento sostanzialmente passivo durante il quale si accettano - o meno - progetti o programmi che altri propone per sua scelta e sua preliminare convenienza, annebbiandone le conseguenze comunitarie con parole e populismi di varia natura e qualità.

Problemi non nuovi, che si sono posti da sempre. Che nella natura partecipativa delle Comunità cristiane è maturata come ‘cultura’ nonostante le contraddizioni - anche gravi - che nei secoli si sono manifestate. Una cultura che cerca in permanenza di dare corpo alla ‘civiltà dell’amore’ di cui è espressione. Una ‘cultura’ che, in nome del fare e gestire, viene considerata un pericoloso ingombro, tanto più sovrastrutturale quanto più i tempi coi quali si vuole che si attuino le cose (quasi sempre in nome di accumulazioni confliggenti col bene comune) devono essere brevi o immediati.

Una cultura da rendere il meno praticabile possibile soprattutto perché ostacola la riaffermazione di autoritarismi ed esclusivismi. Con la Costituzione Repubblicana del 1948 la nostra Italia aveva cercato di farla sostanzialmente propria nella ricerca di una stabile relazionalità democratica rispettosa delle culture presenti (cristiano-sociale, cattolica-liberale, social-riformista, social-comunista, liberale), sottoposte tutte alla scelta comunitaria del rifiuto netto di autoritatismi, passati o possibili, che tanta morte ed ingiustizia avevano prodotto negli ultimi secoli in Europa.

Già secoli fa, Paolo di Tarso proponeva ai cristiani di Corinto una impostazione nelle relazioni interpersonali e comunitarie di questo tipo, capace di considerare tutti i suoi componenti ‘persone’ egualmente corresponsabili, tutti ‘custodi’ e ‘humus’ per una ‘nuova’ società ma anche tutti impegnati in ruoli diversi operanti all’interno di una progettualità condivisa e vincolante. La si trova nel capitolo 12, versetti 12-26.

12 “Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra. e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. 13 Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo dissetati di un solo Spirito. 14 E infatti il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra. 15 Se il piede dicesse: «Poiché non sono mano, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. 16 E se l’orecchio dicesse: «Poiché non sono occhio, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe parte del corpo. 17 Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l’udito? Se tutto fosse udito, dove sarebbe l’odorato? 18 Ora, invece, Dio ha disposto le membra del corpo in modo distinto, come egli ha voluto. 19 Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? 20 Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. 21 Non può l’occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; oppure la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi». 22 Anzi proprio le membra del corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie; 23 e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore decenza, 24 mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non ne ha, 25 perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. 26 Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui.”

martedì 19 gennaio 2010

• Il Nobel per la Pace a internet?


«Con l’aumento della sua diffusione e della sua accessibilità, Internet ha ampiamente dimostrato di non essere solo una rete di computer collegati fra loro o un contenitore di pagine web navigabili dagli utenti, ma si offre come prezioso e potente strumento di comunicazione globale in grado di oltrepassare anche quelle distanze dettate da restrizioni di tipo politico e militare. Partendo dall’idea che Internet si costituisca soprattutto come strumento di democrazia fruibile da tutti, in grado di veicolare messaggi di solidarietà e civiltà, è nato il progetto di Wired Italia, Internet for Peace, con l’obiettivo di candidare la Rete al prossimo Premio Nobel per la Pace.» «Wired Italia lancia il progetto Internet for Peace candidando ufficialmente il Web al Premio Nobel per la Pace 2010.»

Si continua a confondere - come in tante altre vicende e fenomeni - lo strumento coi fini, che attraverso di esso si 'possono' perseguire.

Il poter parlare non significa che le relazioni tra le persone siano figlie di una cultura della Pace e siano tali da promuoverla. È più comprensibile il Nobel per Obama, anche se non poco forzato.