domenica 1 novembre 2009

• Da cristiani in politica. A Livorno.

Ogni norma pubblica parte dalla fotografia del presente (così come letta dai promotori dell’atto) e cerca di prevedere quanto può accadere e si vorrebbe accadesse in un periodo successivo sulla base dei criteri di lettura prescelti. Ogni norma ha l’obiettivo di fissare su un tema definito le regole di convivenza dei diversi che insistono in un certo territorio. Nessuno può rifiutarsi alla proposta ed al confronto su un tema (anche ‘eticamente sensibile’); rifiutando ogni fondamentalismo, comunque motivato. Per far questo occorre impegnarsi ad aumentare la qualità di formazione e conoscenza ed a far maturare una cultura (propria, della propria famiglia e della Comunità) in modo da essere in grado di confrontarsi con quella di chi è diverso. Chi nella Comunità è assunto come punto di riferimento di quella cultura, chi è stato chiamato ad un ruolo di guida deve aiutare questo cammino non solo esprimendo valutazioni contingenti (importanti ed essenziali) ma anche predisponendo o sostenendo percorsi preliminari di formazione che consentano il richiesto esercizio di un ruolo autonomo, compatibile con le regole di convivenza nella Comunità, che tutti vincolano. Autonomia non significa isolamento, assenza, silenzio o assorbimento da parte degli uni sugli altri; ma ricerca permanente di ciò che unisce nel rifiuto di ogni sincretismo. Laicità come metodo per cercare soluzioni sagge, capaci di trasmettere fiducia e speranza alle persone, e mai punitive verso le loro convinzioni o la loro condizione. Non a caso la diocesi di Livorno si è impegnata in questa direzione fin dagli anni ’50 col lavoro degli assistenti della FUCI diocesana, prima, (Chi non ricorda il lavoro di don Renzo Bellomi, di don Giulio Tavallini, di don Mario Gilardi?) e con quello della formazione all’impegno socio-politico da parte di don Roberto Corretti, di Padre Pino Piva con proseguimento fino all'anno 2006 da parte dell’ufficio per la pastorale sociale. Certamente poi alla facoltà, volontà ed impegno di ciascuno il compito di renderlo vivo, vissuto. Nessuno, quale che sia il ruolo che ha scelto di esercitare nella Comunità, può prescindere dai principi cosiddetti ‘fondamentali’, negoziarli con chicchessia. Nel documento diocesano ‘da cristiani in politica’, proposto a Livorno nel 2006, a proposito delle relazioni tra cristiani e politica, tra l’altro, si affermava: «• L’uomo e la donna possono realizzare sé stessi, quando vivono, progettano ed agiscono nella Comunità, in relazione con altri uomini e donne. Si pongono in ascolto, riflettono, dialogano, progettano, costruiscono al servizio di se stessi e di tutti. • La società politica esiste da sempre, perché le istituzioni sono di tutti quelli che ne fanno parte, qualsiasi fede professino. La politica è laica. Laici sono i valori a cui essa si ispira. Laiche le finalità cui tende. • L’invito a “far politica” è stato sempre letto come invito a farsi cibo per la vita degli altri, per la crescita nell’amore di ciascuno e di tutti. Perciò le relazioni fra politica e cristiani, tra Stato e Chiesa sono concepite e realizzate commisurandole ai diversi contesti storici, sociali ed ecclesiali. • Per i cristiani l’essere laici è da intendersi non come separazione tra diversi, ma come «fecondazione reciproca» (Giovanni Paolo II, 2005); comporta che, senza rinunciare alla propria identità, credenti e non credenti cerchino insieme piste concrete per realizzare il maggior bene comune possibile in una data situazione, consapevoli delle necessarie condivisioni accertate. • «Il fedele laico è chiamato ad individuare nelle concrete situazioni politiche, i passi realisticamente possibili per dare attuazione ai principi e ai valori morali propri della vita sociale. [...] La fede non ha mai preteso di imbrigliare in un rigido schema i contenuti socio-politici, consapevole che la dimensione storica, in cui l’uomo vive, impone di verificare la presenza di situazioni non perfette e spesso rapidamente mutevoli» (Compendio Dottrina Sociale della Chiesa, n. 568)»

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