martedì 30 novembre 2010

• Fazio/Saviano, sorpresa ed amarezza


In queste settimane forti sono state le reazioni alla parte che il format “Vieni via con me” [scritto da Michele Serra e messo a punto da Fazio e Saviano per RAI-3] ha dedicato ad alcune storie drammatiche di ‘fine-vita’. Ha posto in primo piano il dramma di chi ha staccato la spina. Ha ignorato quello delle centinaia che la spina non hanno staccato. Sollecitati a colmare la gravissima lacuna, si sono rifiutati. Il tanto di buono e positivo che sugli altri temi investiti avevano riversato nel loro format è stato avvolto in un alone di nebbia fitta. Su Avvenire del 26/11 il direttore Tarquinio scrive; «E ora che pure il Consiglio di amministrazione della Rai, ha detto: «Fateli parlare»? Ora niente, dicono, Fazio e Saviano. Per loro è «inaccettabile». Quelle voci – e già temevano di averlo capito – sono inaccettabili. Beh, non si somigliano proprio Fazio e Saviano quando mostrano l’audience e voltano la testa, con aria – loro – da vittime (o, forse, non somigliano all’immagine di sé che ci avevano dato). E non si somiglia nemmeno Paolo Ruffini, direttore di Raitre e intellettuale limpido e rigoroso, quando afferma che niente di «non detto» e di negato c’è stato nel programma che sulla sua rete ha avuto il maggior successo di sempre.». Antonio Socci su ‘Libero’ ribadisce:«Purtroppo ieri, Michele Serra, ha liquidato col ditino alzato la richiesta di molte persone affette da gravi malattie, che lottano per vivere e per vivere in condizioni migliori, di potersi raccontare in quel programma così come, nello stesso programma, è stata raccontata la storia di Welby e degli Englaro. Da una settimana questi malati lo chiedono ogni giorno dalla prima pagina di "Avvenire", denunciano che si sentono soli, silenziati e che vogliono continuare a vivere. Ma a quanto pare Serra, Saviano, Fazio e compagni, hanno decretato che costoro non hanno diritto di parola nella "loro" televisione. Certo la pietà verso il dolore degli altri esseri umani, visitati da malattie terribili, non è un dovere di legge. Ma quando si tratta di televisione pubblica è anche un problema collettivo.» Anche se probabilmente non riuscirò mai ad accettare il tono di Socci, condivido la sostanza delle osservazioni di Tarquinio e Socci a Serra.

Sembra di avvertire nel sottofondo una pregiudiziale, sciocca e superficiale:«Lo vedi se gliel'ho detto a que' pretacci!». Interpreto, così, alla livornese, comportamento e stile di Fazio/Saviano sul tema delicatissimo del fine-vita; sulle pregiudiziali laiciste che avevano governato la scelta di quelle sole narrazioni. È incredibile che non si siano resi conto di quello che dicevano a giustificazione della eutanasia - attraverso la narrazione dei due casi drammatici; del male che facevano in particolare alle centinaia di altre famiglie che avevano fatte altre scelte - altrettanto drammatiche; in altrettanta solitudine; in difficoltà personali, familiari ed economiche travolgenti; che in ogni momento della loro esperienza - durante la malattia dei loro cari e dopo la loro morte - erano posti brutalmente di fronte ai problemi della nascita, della vita e dell'esistenza.

Credo che si debba guardare con grande pietà e rispetto alle sofferenze terribili dei diretti interessati ed alle persone che sono loro vicine ogni giorno, in ogni momento. Non è con superficialità ideologiche o, spesso, di maniera che si affrontano tali prolemi. Prima che disumano è disonesto. Prese di posizione come quella di Serra, non sono di destra, di centro o di sinistra. Sono semplicemente espressione di impegno ad esorcizzare o attenuare gli effetti di ciò che fa comunque soffrire: “non vedo, nascondo, distruggo l’immagine di quello che provoca dolore ed orrore”

mercoledì 17 novembre 2010

• Asia Bibi. "Dio ci ha creati liberi"


In questi giorni la comunità internazionale ha seguito con grande preoccupazione la difficile situazione dei cristiani in Pakistan, spesso vittime di violenze o di discriminazione. In modo particolare, oggi esprimo la mia vicinanza spirituale alla signora Asia Bibi e ai suoi familiari, mentre chiedo che al più presto le sia restituita la piena libertà. Prego per quanti si trovano in situazioni analoghe, affinché i loro diritti siano pienamente rispettati: così il Benedetto XVI all’udienza generale.

Asia Bibi – 45 anni, cinque figli – è condannata a morte per blasfemia. In una intervista di questi giorni il vescovo Antony Rufin (vescovo della diocesi di Islamabad e Rawalpindi) ha detto: «la legge sulla blasfemia resta un grosso limite per la nostra vita quotidiana perché ci espone ad abusi e alle violenze degli integralisti. Viene usata magari per vendette personali e si trasforma in persecuzione. Va abolita, è anticostituzionale. Anche la società civile del Paese si sta mobilitando su questo tema, compresi molti intellettuali islamici moderati. Ma l’influenza politica dei fondamentalisti è molto forte, non sarà facile abolire o emendare la legge.» Ha proseguito: «Il caso di Asia Bibi è illuminante. La maggioranza dei cristiani, che sono il 3 per cento della popolazione di un Paese che ha 162 milioni di abitanti, è povera. Sono soprattutto operai e contadini che non hanno studiato, persone semplici. Spesso accade che un cristiano mentre entra in un negozio o sta lavorando, si senta rivolgere all’improvviso domande sulla sua fede. Affermare di credere in Cristo e spiegarne le ragioni basta a far scattare la denuncia per blasfemia. Noi mettiamo in guardia i fedeli dal tenere discussioni religiose in pubblico. Ma la legge viola i diritti umani.»

Scrive Accattoli sul suo blog: “La condanna per Asia Bibi è stata pronunciata il 7 novembre dal tribunale del distretto di Nankana (Punjab). Il fatto è del giugno 2009: al lavoro nei campi con altre donne, di fede musulmana, viene accusata dalle compagne di “impurità” in quanto cristiana. Lei si difende ricordando come Gesù sia morto sulla croce per l’umanità e chiedendo alle altre che cosa avesse fatto Maometto. Quest’argomentazione le è valsa l’accusa e la condanna per blasfemia.”

Unirsi all’appello ed alla preghiera del Papa non è solo una urgenza civile ma anche un atto di amore che conferma la nostra scelta di essere seguaci di Cristo.