sabato 21 agosto 2010

• Il nodo alla gola!


Ormai ce lo aspettavamo, Mons. Ablondi, don Alberto, aveva fatto da tempo le valige e ci stava salutando.

È il momento di riflessioni e verifiche. È il momento dei ricordi, del recupero delle condivisioni.

Quanto amore in quegli sguardi ed in quegli atti; quanta testimonianza evangelica nei piccoli e nei grandi momenti; quanta curiosità e voglia di conoscere e capire! Fu la prima impressione quando in fondo al corridoio del primo piano, in curia, guardò quel gruppetto di fucini che, accompagnati dal suo segretario, stavano muovendosi per un incontro con mons. Guano, già ammalato.

Erano gli anni ‘70 ed ero segretario generale della Cisl livornese. Quella impressione si rafforzò quando venne nel mio ufficio don Munaro per organizzare un incontro di Lui con ciascuna delle organizzazioni sindacali confederali dei lavoratori presso le loro sedi e quando (guardando qualche giorno dopo le fotografie dell’incontro con la Cgil) una risata piena investì la foto del buon Sergio Manetti, segretario della stessa: sembrava che baciasse la mano di Ablondi! Dilagò nella commozione con la quale mi disse che suo padre si chiamava come me: Ettore e che era tra i primi cislini di Sanremo.

Un legame - di stima ed amicizia - molto forte e che si rinforzò ancora di più - se possibile - via via che la presenza di don Vincenzo (anni dopo vescovo di Belluno-Feltre) assumeva un ruolo diocesano e che don Corretti e Padre Piva facevano vivere il gruppo della pastorale sociale e del lavoro.

Un legame che trovò nel momento della partecipazione al convegno di Palermo della Chiesa italiana un passaggio altissimo. Vedo ancora la curva dello stadio - durante l’assemblea finale dei partecipanti - con lo striscione ALBERTO - MAI DIRE ORMAI innalzato dai giovani palermitani nel ricordo dell’incontro anche con Lui nelle sere precedenti. Lo vedo ancora alzarsi in piena Assemblea per condurre deciso davanti al Pontefice la delegazione degli ospiti cristiani, non cattolici. Lo vedo ancora mangiare con don Vincenzo e tutti noi l’uva che ci era stata donata da alcuni raccoglitori. Lo vedo che, facendo l’occhiolino di complicità, entrava col nostro gruppetto per mangiare dolcetti in una pasticceria locale o si congratulava per alcuni interventi che avevamo fatto nelle Assemblee tematiche.

Emblema di una Chiesa ‘viva’.

Stop! Riemerge il nodo alla gola.

Non mi vergogno. Altre riflessioni in altri momenti!

Ciao, monsignore! Continua a darci una mano.


Il mio "bravo e grazie" ad Alberto Ablondi: [http://www.luigiaccattoli.it/blog/?p=5201]

4 commenti:

Ettore ha detto...

Fin dall'inizio mostrò una grande sollecitudine per il mondo del lavoro e, all'interno di quel sistema, una particolare predilezione per ultimi e penultimi e per le loro famiglie; quante sollecitazioni, piccole e grandi, perché il sindacato fosse di 'tutti' nel rifiuto delle parzialità partitiche. Lo confermò al Sinodo, a Palermo, al Cantiere ed al Porto come nei tanti colloqui privati. In questi giorni questo aspetto della azione pastorale alcuni lo riconducono ad una bandiera a mezz'asta, alla 'catena di mani' che avevano prodotto una nave, alla didascalia sotto una foto, ad un flash occasionale. Troppo poco rispetto alla realtà, che ho vissuta insieme ai colleghi delle altre confederazioni.
Abbiamo avuto il dono della sua vicinanza e della sua amicizia. È stata una cosa grande!

Ettore ha detto...

Quando penso a mons. Ablondi non riesco a separare del tutto la sua figura da quella - pur tanto diversa da moltissimi punti di vista - di don Vincenzo Savio. Due grandi. Uomini impegnati permanentemente nell'INCONTRO, nella ricerca di momenti di reciproca contaminazione tra diversi, momenti di AMORE senza riserve. C'è chi ha mal parlato di entrambi e qualche volta anche mal agito - soprattutto per superficialità nei loro confronti, utilizzando forse paramtri moto più ‘terra terra’.
Spero che in alcuni  i cambiamenti nel tempo ci siano stati. Per alcuni che conosco, certamente. In ogni caso, unico giudice è Domineddio: Noi siamo impegnati ogni giorno a tentare di capire.
Ablondi, come Savio (ed apprendo in questo momento Antonio Marini) sono già in grado di valutare e comprendere. Sono parte della schiera. Spero che potremo esserlo anche noi.

Ettore ha detto...

Questo blog ha per titolo una frase che a Palermo mons. Ablondi disse in varie occasioni, soprattutto ai giovani presenti, MAI DIRE ORMAI

Ettore ha detto...

Ricevo da Roberto Pini:


Il feretro circondato da divise e pennacchi, mitrie, bandiere e stendardi, gerarchie civili e religiose; tutti rigorosamente separati da un popolo tenuto lontano, dietro i cordoni, redarguito perché fa rumore o occupa spazi non dovuti; devozionalismo e liturgia ingessata: plastica rappresentazione di una chiesa lontana anni luce da quella che per tanti anni il vescovo Alberto ha indicato e cercato di far vivere. Cosa rimane di tanto magistero?
Dov’era la comunità sinodale con le diverse vocazioni per il servizio di tutti? Dov’era il consiglio pastorale diocesano espressione di questa pluralità?
Dov’erano i fedeli laici, chiamati alla corresponsabilità? Non li ho visti proclamare la Parola o proporre intenzioni di preghiera, o anche solo essere chiamati a testimoniare la loro presenza.
Dover’erano i giovani, che tanta retorica di questi giorni ha posto al centro dell’interesse di Ablondi? Non li ho visti vicini al loro vescovo ad animare la liturgia, non li ho sentiti cantare quando era il momento.
Dov’era lo spirito ecumenico? C’erano l’archimandrita, il rabbino, il pastore, ma non li ho visti chiamati a pregare insieme con il vescovo Giusti, o anche solo poter dire il loro dolore e la loro speranza.
Dov’era la centralità della Parola? Ho sentito rosari, ma non ho sentito risuonare il testo biblico nell’accompagnare l’uomo che per la Scrittura ha avuto un impegno planetario.
Dov’era il rapporto libero della Chiesa con i poteri di questo mondo? Financo la gestione del cerimoniale è stata lasciata ad autorità dell’amministrazione pubblica, e il servizio d’ordine cogestito con chi è espressione di un partito.
Dov’era la memoria di questa chiesa? Paradossale che la comunità che si fonda sulla Memoria del suo Signore sia incapace di fare memoria della sua storia. Non ho visto vicini al loro vescovo quanti per anni sono stati suoi collaboratori ecclesiali.
A distanza di giorni, quel rito funebre mi pare sempre più rivelatore di un modo di vedersi e sentirsi chiesa. Ci siamo arrivati poco a poco, per responsabilità diffusa; probabilmente molti nemmeno se ne rendono conto, ma qui siamo.
Con Ablondi abbiamo seppellito la chiesa di Ablondi. Monsignore inorridirebbe di questa espressione, la chiesa è del Signore, e noi siamo chiamati viverla come Lui ci chiede. Ma c’è un’ecclesiologia conciliare che Ablondi ha costantemente approfondito e tradotto nel suo magistero e nei suoi atti di governo. E che noi stiamo abbandonando.
Non tocca alla Chiesa di Livorno rifare pedissequamente nell’oggi ciò che ha fatto ieri con Ablondi. Non è tempo di epigoni. Ci tocca però, questo sì, fare tesoro della sua lezione e della sua testimonianza quando pensiamo il nostro vivere e annunciare la novità liberante del Vangelo nel mondo.

Roberto Pini
28 agosto 2010