
I presuli infatti invitano a riflettere sulla necessità di respirare aria più pulita e sul contributo personale e comunitario perché ciò avvenga; e ancora esortano a interrogarsi sull'eventualità che gli elementi naturali possano dar luogo a catastrofi, ma soprattutto - sottolineano - "guardiamo a essi con il cuore colmo di lode a Dio, riscopriamo, anzi, in essi le sue stesse orme, secondo l'indicazione dell'episodio biblico di Elia sull'Oreb: egli incontra Dio non nel vento impetuoso e gagliardo, né nel terremoto né nel fuoco, ma nel vento leggero". Occorre guardare - affermano i vescovi della Cei - alle realtà del creato "con quella purezza di cuore, invocata da Gesù nelle beatitudini, che giunge a vedere i doni di Dio in ogni luogo, anche nei gigli del campo e negli uccelli dell'aria".
Viviamo - affermano i presuli - in un mondo contrassegnato dal peccato e nel contempo già redento e avviato a un processo di trasformazione, "finché un giorno, da Colui che fa nuove tutte le cose ci sarà dato un cielo nuovo e una terra nuova".
La crisi ecologica appare come un momento di questo processo: è conseguenza del peccato se la rete delle relazioni con il creato appare lacerata e se gli effetti sul cambiamento climatico sono innegabili, se proprio l'aria - così necessaria per la vita - è inquinata da varie emissioni, in particolare da quelle dei cosiddetti "gas serra". "Se, però, prendiamo coscienza del peccato, che nasce da un rapporto sbagliato con il creato, siamo chiamati - si legge nel documento - alla "conversione ecologica", secondo l'espressione di Giovanni Paolo ii".
Ricordando che il Compendio della dottrina sociale della Chiesa segnala la necessità di considerare i rapporti tra l'attività umana e i cambiamenti climatici che, data la loro estrema complessità, devono essere opportunamente e costantemente seguiti a livello scientifico, politico e giuridico, nazionale e internazionale, i vescovi sottolineano: "Il clima è un bene che va protetto e richiede che, nei loro comportamenti, i consumatori e gli operatori di attività industriali sviluppino un maggior senso di responsabilità". Il principio di precauzione ricorda che - anche laddove la certezza scientifica non fosse completa - l'ampiezza e la gravità delle possibili conseguenze (molte delle quali si stanno già manifestando) richiedono un'azione incisiva.
Una tempestiva riduzione delle emissioni di "gas serra" è, dunque, una precauzione necessaria a tutela delle generazioni future, ma anche "di quei poveri della terra, che già ora patiscono gli effetti dei mutamenti climatici".
Occorre, dunque, un "profondo rinnovamento del nostro modo di vivere e dell'economia, cercando di risparmiare energia con una maggiore sobrietà nei consumi, per esempio nell'uso di automezzi e nel riscaldamento degli edifici, ottimizzando l'uso dell'energia stessa - a partire dalla progettazione degli edifici stessi - e valorizzando le energie pulite e rinnovabili".
Padre Benedetto XVI - ricordano i presuli - ha richiamato a uno stile di vita più essenziale, come espressione di "una disciplina fatta anche di rinunce, una disciplina del riconoscimento degli altri, ai quali il creato appartiene tanto quanto a noi che più facilmente possiamo disporne; una disciplina della responsabilità nei riguardi del futuro degli altri e del nostro stesso futuro". L'impegno per la tutela della stabilità climatica - ribadiscono i vescovi della Cei - "è questione che coinvolge l'intera famiglia umana in una responsabilità comune, che pone anche una grave questione di giustizia: a sopportarne maggiormente le conseguenze sono spesso le popolazioni a cui è meno imputabile il mutamento climatico".
Neppure il peso della crisi economico-finanziaria che investe l'intera comunità internazionale può esonerare - conclude il messaggio per la quarta Giornata della salvaguardia del creato - da una "collaborazione lungimirante per individuare e attivare misure efficaci a garantire la stabilità climatica: è un passaggio cruciale per verificare la disponibilità della famiglia umana ad abitare la terra secondo giustizia". (©L'Osservatore Romano - 21 maggio 2009)
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