STRADA E FEDE, il triduo della Settimana Santa degli scout AGESCI. Venerdì Santo. Siamo arrivati al Centro scout di Sant’Antimo. Due amici (uno di essi è alla guida e ci ospita in auto) ed io procediamo verso la case che precedono l’ultimo tratto per l’Abbazia. Davanti ai nostri occhi un'area vasta nella quale il verde tenero della prima primavera svetta. Ti svecchia, rinvigorisce. Ridimensiona le tue esperienze e le tue tensioni. Quei giovani in divisa col fazzolettone arrotolato intorno al collo (la promessa). Il loro ciacolare - allegro e dirompente - si immerge in quel verde, in quei sassi che ne fissano il limite, in quelle colline che si rincorrono laggiù in fondo. Ti riportano alla tua camicia verde ed alla tua ‘promessa’ amaranto. Non per nostalgia o rimpianto di momenti irripetibili, ma per rileggere la tua permanente voglia di dare, senza porti problemi e cercando di non porne.
«Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi prima della mia passione» [Luca 22,15] . Queste parole di Gesù di Nazareth sono la sottolineatura dei frati scout francesi che ci hanno ridato l’Abbazia. Entrandoci ti viene voglia di pregare e di ascoltare i lievi canti comunitari di lode ed invocazione, di ricordo della Passione che ci ha recuperato alla vita.
Ci ambientiamo, in attesa del ritorno dei gruppi scout che meditano sulla Via Crucis per percorsi segnati da sassi color ocra (nelle loro varie tonalità), che si snodano tra ciuffi e prati di erba appena nata, cespugli carichi di piccole e piccolissime gemme, alberi coi primo ‘butto’. Le voci dei 20-30enni in cammino giungono in qualche momento ovattate. Per darti un atteggiamento chiedi notizie su dove ti dovrai collocare o dovranno farlo gli amici coi quali sei venuto. Guardi il cartello col numero del tuo gruppo, la tua ‘bottega’ e domandi quanti hanno scelto il tema per il quale sei stato chiamato: “Servire in politica, oggi”. Sei scettico: in molti sostengono che i ‘giovani’ non sono interessati al tema, sono disamorati - come si usa dire. Ma ho fiducia, lo scout - maschio o femmina - da un secolo è su un percorso di formazione e crescita che cerca di non farlo colpire dall’isolamento, dal solipsismo. È per lui più possibile essere ‘persona’ perché la relazione con gli altri non è una scelta occasionale ma una disponibilità permanente.
“Quanti hanno aderito finora alla bottega che mi è stata assegnata?”, domando a Brunella, seduta presso la tenda di accoglienza. “È tra quelle per le quali non si accettano più prenotazioni. Gli aderenti sono già al massimo funzionale, circa 30! In tutto il campo siamo circa 700.” Quale che sia il motivo che ha stimolato, nella sostanza ho davanti la conferma che ‘la libertà non è star sopra una albero, libertà è partecipazione’ - come ci ha ricordato Gaber negli anni ‘70-80.
Arrivano ‘i miei’. Li conto: sono ben 38. Uomini e donne, persone che dovevo far parlare perché si rendessero conto la vita nella Polis non può prescindere da fini condivisi da perseguire con strumenti (che di per sé non sono né buoni né cattivi); strumenti che bisogna imparare a conoscere ed usare al meglio. Fini e strumenti che devono consentire a persone diverse - per cultura e conoscenze - di essere Comunità. Comunità che prevede dei ‘primi’ operanti non al di sopra di ‘numeri’ in attesa di fare da ‘ricambio’, ma con essi; che non prevede “unti” o “incoronati” ma persone disponibili a ‘servire’ al meglio loro possibile, consapevoli di essere humus nel quale far alimentare e crescere la propria vita e quella di chi con loro convive, avendo ben chiaro che uomini, animali e piante non possono fare a meno l’uno dell’altro. Fini e strumenti che esaltano l’essere cristiani e raddoppiano - come tali - la responsabilità e l’impegno. I tempi disponibili per dipanare i temi della ‘bottega’ affidatami sono molto stretti, soprattutto perché vorrei che le persone che si sono affidate ad uno sconosciuto - a me - parlino e comprendano la loro unità di fondo, la loro capacità e possibilità di impegno unitario, tornando agli impegni quotidiani nelle loro case ed ambienti a Nord, al Centro ed al Sud.
Chissà se ce l’ho fatta ad offrire la mia memoria, le mie esperienze e le mie conoscenze, a trasmettere loro la voglia, la carica dirompente che sento dentro. Se pensassi di avercela fatta, sarei un gran presuntuoso. Sarebbe già molto se mi avessero guardato e considerato come uno dei loro, solo più vecchio (o più ‘anziano’, come pudicamente talvolta si dice!). Una cosa è certa: nel loro parlare, gestire e relazionare mi hanno dato moltissimo e non posso che ringraziarli, senza riserve.
I due amici coi quali ero giunto a Sant’Antimo erano anche loro reduci da due ‘botteghe’ assai importanti: la relazione con la povertà e la convivenza con la globalizzazione. Due persone veramente notevoli. Due medici interessati ed impegnati nell’offrire loro stessi e la loro professionalità anche tra i più diseredati nel mondo. Nelle oltre tre ore di auto vissuti insieme - con semplicità, entusiasmo e competenza - mi hanno dato molto. moltissimo. Una giornata indimenticabile.
Sono arrivato a casa. Il TG mostrava le immagini dei funerali di Stato delle vittime del terremoto abruzzese (o della superficialità e presunzione o dell’ingordigia?). C’è ancora tanto da fare! Quei ragazzi e quelle ragazze che ho incontrato a Sant’Antimo li ho ancora negli occhi e negli affetti. Forse rivedo in loro i miei figli e le loro famiglie.
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