Non c'è dubbio che anche una goccia d'acqua nel mar Morto può significare una vita in più. Non c'è anche dubbio che 20 miliardi di dollari sono tanti di fronte alle chiacchiere ed alle promesse a vuoto fatte finora. Ma sempre di elemosina e non di carità si tratta (anche se stavolta sembra che si voglia parlare anche dei criteri di gestione di quei dollari). Si tratta di flash d'attenzione rispetto a progetti di avvio a risanamento mirati e possibili o ai genocidi perpetrati in aree come il Sudan o in altre aree - cariche di materie preziose - sconquassate dall'arrembaggio di egoismi fuori di ogni controllo. Siamo poco più che alla presa d'atto. L'avvio di un percorso nuovo sottolineato dal Presidente USA, Barack Obama, è tutto da verificare. Anch'io ho fiducia nel suo lavoro come 'primus inter pares' di livello globale. Sta imponendo un ritmo e spendendo credibilità assai importanti. Ne ho molto meno in quei governanti che hanno sottoscritto impegni anche precedentemente, poi non mantenuti.
Per molti aspetti credo di convenire con Fulvio Scaglione, che su AVVENIRE di oggi (12,07,09) approfondisce il problema. «La buona notizia? L’Africa torna tra i grandi della politica. La cattiva notizia? Non ci sono altre notizie. L’esito dei summit, anche di quelli meglio riusciti, va sempre preso con saggezza. Ed è basilare distinguere ciò che potrà durare da ciò che, magari anche nel bene, è destinato a passare.» «Nella parte sub sahariana del continente, il 32% della popolazione (260 milioni di persone, dati Fao) soffre la fame, con un aumento dell’11,8% sul 2008. Molti degli affamati, e di certo i 'nuovi' affamati, pagano la corsa dei prezzi dei prodotti agricoli, innescata da speculazioni partite nei Paesi ricchi e poi aggravata da una crisi finanziaria tutta Occidentale. Mantenere o aiutare gli indigenti è ciò che passa, frenare i meccanismi speculativi che si scaricano sui più deboli è ciò che resta. Ben vengano, dunque, i miliardi del G8 ma ancor più l’intenzione di puntare meno sugli aiuti alimentari e più sull’agricoltura, affinché gli africani possano mantenersi da soli.» «Oggi, però, il bisogno primario del l’Africa è trovare un ancoraggio con il resto del mondo. Uscire dalla condizione di continente assistito e marginalizzato e inserire la propria voce nel coro globale, ascoltando e facendosi ascoltare. Sentirsi dire più spesso, come ha fatto ieri Barack O bama nel discorso al Parlamento del Ghana: «Considero l’Africa parte fondamentale del nostro mondo interconnesso ». Principio importante perché consente poi di ricordare agli africani la responsabilità che deriva dalla capacità. Con il suo talento per i gesti simbolici, Obama ha reso omaggio alla democrazia ghanese, ma al Kenia delle radici paterne ha riservato il ricordo di uno status economico un tempo florido e poi dissipato. Senza falsi buonismi ha detto che «il futuro dell’Africa spetta agli africani» e che «lo sviluppo dipende dalla buona governance, ingrediente andato perso in troppi luoghi e troppo a lungo». «Non si tratta di quattrini ma di vite. E di sviluppo nel senso più ampio del termine: politico, culturale (fino a quando il 62% dei 161 milioni di adulti analfabeti africani dovrà essere donna?), economico, persino sanitario. Lo sviluppo che nasce dal contatto e dalla contaminazione con l’esperienza altrui.»
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