Una riflessione di don Tonino Bello, tratta dal suo scritto «MARIA, DONNA DEI NOSTRI GIORNI», ediz. Paoline 1996. [Un frammento, invitando alla lettura completa. Il testo si trova anche in rete]
«Si sente spesso parlare di obbedienza cieca. Mai di obbedienza sorda. Sapete perché?Per spiegarvelo devo ricorrere all' etimologia la quale, qualche volta, può dare una mano d'aiuto anche all'ascetica.Obbedire deriva dal latino ob-audire, Che significa: ascoltare stando di fronte.Quando ho scoperto questa origine del vocabolo, anch' io mi sono progressivamente liberato dal falso concetto di obbedienza intesa come passivo azzeramento della mia volontà, e ho capito che essa non ha alcuna rassomiglianza, neppure alla lontana, col supino atteggiamento dei rinunciatari. Chi obbedisce non annulla la sua libertà, ma la esalta. Non mortifica i suoi talenti, ma li traffica nella logica della domanda e dell' offerta.Non si avvilisce all'umiliante ruolo dell'automa, ma mette in moto i meccanismi più profondi dell'ascolto e del dialogo.C'è una splendida frase che fino a qualche tempo fa si pensava fosse un ritrovato degli anni della contestazione: "obbedire in piedi". Sembra una frase sospetta, da prendere, comunque, con le molle. Invece è la scoperta dell'autentica natura dell' obbedienza, la cui dinamica suppone uno che parli e l'altro che risponda. Uno che faccia la proposta con rispetto, e l'altro che vi aderisca con amore. Uno che additi un progetto senza ombra di violenza, e l'altro che con gioia ne interiorizzi l'indicazione.In effetti, si può obbedire solo stando in piedi. In ginocchio si soggiace, non si obbedisce. Si soccombe, non si ama. Ci si rassegna, non si collabora.»
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